Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

29 dicembre 2020

Pastina risottata ai carciofi, ed è subito piacere puro


La ricetta che vi propongo oggi è nata quasi per caso. Avevo dei carciofi cotti semplicemente in acqua (un piatto che preparo abbastanza spesso, è buonissimo!) e con l’abbondante brodo che si è formato e che di solito non consumo ho pensato di preparare un risotto.
Avevo tuttavia in casa soltanto della pastina e allora perché non farne una pastina risottata col meraviglioso brodo di cui sopra?
Idea poi rivelatasi ottima, perché il risultato finale è stato davvero sorprendente.
La pastina, che tra l’altro ha breve cottura, si impregna del gusto e dell’essenza del carciofo, colorandosi della sua bella tinta violacea-verdastra con un sapore concentrato e inimitabile.
Per preparare questa ricetta dovete effettuare i seguenti semplici passaggi:
 
-   bollire in acqua fredda alcuni carciofi puliti, condendo con olio extravergine, del sale grosso, aglio in pezzi e prezzemolo. La cottura sarà di circa 30 minuti.

-   utilizzare il brodo che ne deriva per cuocere come un risotto la pastina (io ho usato delle “tempestine”, ma va bene qualsiasi tipologia).

-   mantecare a cottura ultimata con del burro e parmigiano.

-   impiattare, guarnendo con qualche petalo di carciofo bollito.
 
Tutto qui. A rifinitura e completamento del piatto potete, volendo, aggiungere anche una discreta dose di pecorino grattugiato.
Se provate ad eseguire questa ricetta, fatemi sapere poi che ne pensate. Bon appétit!

25 dicembre 2020

Tanti auguri!


Tanti auguri a tutti di un sereno Natale 2020 e buone feste.
Tra poco festeggerò tra le altre cose con un tacchino ripieno di castagne e un Per ‘e Palumm Cenatiempo. Cin cin!

2 dicembre 2020

La straordinaria avventura del Vendée Globe


Vi avevo accennato nello scorso post che in questi giorni di quasi reclusione sto viaggiando in modo virtuale, scoprendo quotidianamente un mondo bellissimo. Fatto di mari esotici, vento, salsedine, scoperta di luoghi geografici, terminologie e fenomeni meteorologici, di avventura, di scoperta dell’ignoto, di quotidiana umanità.
Sto facendo questo ideale viaggio con gli stupendi video e le affascinanti foto (oltre che leggendo interessanti notiziari) della più grande manifestazione velica intorno al mondo, il Vendée Globe.
Ormai da più di 20 giorni questo evento mi sta prendendo e tenendo compagnia con le sue incredibili immagini dal mare, inviate direttamente dalle imbarcazioni di 33 skipper di diversa nazionalità, che senza scalo ed assistenza ed in solitaria dovranno attraversare in circa tre mesi i mari di tutto il mondo (percorrendo 24.296 miglia nautiche, pari a quasi 45 mila chilometri).
Mari calmi ma anche agitati, con venti talvolta impetuosi, depressioni, uragani e molto altro hanno accolto ed accoglieranno i velisti, accomunati da un grande spirito di solidarietà gli uni verso gli altri e da un’avventura straordinaria che alcuni compiono per la prima volta.
Forti emozioni quindi travolgeranno questi concorrenti, che prima della partenza si percepivano da affermazioni come questa: “J'espère m’extasier en mer, vivre de vrais moments de joie, être capable de les observer avec gratitude. Et savourer chaque minute, chaque seconde. Sans jamais rien lâcher."
Il Vendée Globe, dicevo, compie un incredibile giro intorno al mondo partendo dalla bellissima cittadina francese di Les Sables d’Olonne per poi scendere verso Sud costeggiando tutto il lato occidentale dell’Africa fino al Capo di Buona Speranza, varcare l’Oceano Indiano doppiando il capo di Leeuwin in Australia e passando successivamente il mitico Capo Horn; si risale infine di nuovo nell’Oceano Atlantico, costeggiando in direzione Nord tutto il Sud America, fino ad arrivare di nuovo e finalmente nel luogo dove si era partiti e cioè Les Sables d’Olonne.
La partenza del Vendée Globe è avvenuta lo scorso 8 novembre in modo atipico rispetto al solito, quasi in silenzio (normalmente la partecipazione del pubblico è notevole: nella scorsa edizione erano presenti 350 mila spettatori), per i noti problemi legati alla pandemia da Covid 19.
Cercando in sintesi di descrivere l’andamento della regata fino ad oggi, i velisti dopo aver lasciato il luogo di partenza, hanno navigato all’altezza delle coste della Galizia e del Portogallo fino a passare per le Azzorre. Più a Sud hanno incontrato la tempesta tropicale Theta, con venti fino a 60 nodi, che ha dato loro non poche noie. Poi la flotta è arrivata nei pressi delle isole Canarie, costeggiando quindi la parte Nord Occidentale dell’Africa.
Dopo Capo Verde e nei pressi della linea dell’Equatore hanno dovuto fronteggiare anche il “Pot au Noir”, una convergenza intertropicale con raffiche improvvise e altrettanto improvvisi cali di vento che talvolta possono dare parecchi grattacapi (non molti in questo caso) ai concorrenti. Passato l’equatore (in cui è tradizione di donare qualcosa a Nettuno) i velisti si sono poi imbattuti nell’anticiclone di Sant’Elena con presenza di venti deboli ed al momento in cui scrivo diverse imbarcazioni hanno passato il Capo di Buona Speranza, raggiungendo quindi il Grande Sud.
A questa altezza va rilevato tra l’altro che uno skipper che ha subìto un naufragio è stato soccorso, fortunatamente con successo, in piena notte e con condizioni di mare non esattamente ottimali, da un altro velista (e qui torna lo spirito marinaro di solidarietà).
Tra i partecipanti al Vendée Globe, tra cui vi sono anche sette donne, seguo in particolar modo le vicende dell’unico italiano in gara, Giancarlo Pedote, filosofo fiorentino che vive da diversi anni a Lorient in Bretagna, terra dalla consolidata tradizione velica oceanica.
Ma è interessante seguire pure quelle degli altri skipper in gara, che con tanti splendidi video mostrano la loro vita quotidiana. Scene in cui mangiano (anche bene, come il nostro Pedote*), in cui riparano qualche guasto, brindano in caso di buone condizioni di navigazione, esprimono i loro sentimenti e sensazioni, mostrano pesci volanti (sì, proprio con le ali!), albatros in lontananza, simboli affettivi legati alla famiglia (è dura star lontani da casa quasi tre mesi), tramonti ed albe mozzafiato (i velisti non possono necessariamente dormire tantissimo).
Anche le imbarcazioni sono uno spettacolo, delle autentiche e perfette “Formula 1 del mare”, dalla tecnologia molto avanzata e supportate da sponsor importanti. E ve ne sono anche di “sfiziosi” e legati al mondo agroalimentare (Charal, carni di qualità, la cooperativa lattiero-casearia Campagne de France, l’azienda di prodotti avicoli Maitre Coq sono alcuni esempi).
Mentre quindi il mondo intero a terra deve fronteggiare la pandemia, gli skipper passeranno quasi tre mesi in mare lontano dai contagi e dalle preoccupazioni ad essi legate. Ne avranno delle altre, come le trappole degli oceani, le onde tutt’altro che dolci, i guasti tecnici più o meno importanti, gli ostacoli imprevisti e altro ancora, ma godranno di tanta libertà quella che non abbiamo (
o quasi) al momento a terra.
E non possiamo nascondere, a tal ultimo proposito, di provare una certa invidia…

*Giancarlo si prepara a bordo piatti come l’uovo fritto con prosciutto del casentino, formaggini con la faccia di Buzz Lightyear (“che mettono il buonumore”) e pane in cassetta grigliato. Che ne dite? Approviamo questa sua ricetta? Io lo farei decisamente!

PS: vi aggiornerò sul mio blog con altri aneddoti su questa lunga regata, definita l’ ”Everest dei mari”. Diventerà allora quasi un Vendée… blog ;)

17 novembre 2020

La mia pasta al forno autunnale


 Rieccomi dopo un po’ di tempo, sempre in questo maledetto anno davvero avaro di cose piacevoli che speriamo possa finire il più presto possibile.
Siamo di nuovo in semi lockdown e si ricomincia a stare di più in casa sperando in tempi migliori, augurandoci che non siano troppo lontani.
In questo contesto per fortuna c’è sempre più tempo per preparare a casa dei buoni manicaretti e nel periodo attuale non si può fare a meno di cucinare piatti dai colori caldi dell’autunno.
Il marrone come quello delle castagne e declinato in mille sfumature dai funghi, l’arancione come quello della zucca sono solo alcuni esempi.
E proprio molte di queste materie prime ho voluto portare in un goloso primo piatto autunnale, che degnamente può rappresentare un opulento pranzo della domenica di stagione.
In un pranzo della domenica che si rispetti una pasta al forno è d’obbligo e perché allora non prepararne una "autunnale"? Cosa ci mettereste? Io ho pensato subito alle castagne, alla zucca ma anche alle salsicce, per non restare troppo su ingredienti dal sapore dolce.
Ecco allora come ho preparato questo piatto che ho voluto riprodurre anche in una versione monoporzione e "padellino", come potete vedere nelle foto.


 Ho innanzitutto preparato una crema di zucca: ho tagliato la zucca a cubetti, ponendola in una pentola con cipolla tritata finemente, olio extravergine, sale, pepe e un po’ di rosmarino. Portata a cottura (va aggiunta anche un po’ d’acqua), l’ho frullata con un frullatore ad immersione.
Ho rimesso quindi sul fuoco il composto così ottenuto, sbriciolandoci dentro della salsiccia e delle castagne lessate. Ho fatto andare il tutto fino a cottura della salsiccia e ulteriore insaporimento della zucca.
Nel frattempo ho anche preparato una besciamella non troppo densa.
Dopo queste operazioni, ho cotto dei rigatoni al dente e li ho successivamente mescolati con parte del composto a base di zucca e della besciamella, amalgamando bene.
Ho inserito poi sul fondo di un tegame da forno della besciamella e metà della quantità della pasta già condita; al centro gran parte della salsa alla zucca con salsicce e castagne e successivamente ho ricoperto con la restante pasta. Sopra di essa ho messo ancora tanta besciamella, altra crema di zucca, abbondante parmigiano grattugiato e una leggera spolveratina di pangrattato. Ho infine infornato il tutto a 180 gradi per una mezzoretta circa. Al limite, per rendere ancora più abbrustolita la crosticina che si formerà in superficie e che DEVE esserci nella pasta al forno, utilizzate il grill gli ultimi 5 minuti di cottura.


 Vedrete che buona! Propongo di utilizzare questo ottimo primo come vaccino anti Covid. Che ne dite? ;)
E a proposito di “evasione” dal Covid, nel prossimo post vi parlerò di un evento che mi sta facendo viaggiare in modo virtuale e molto piacevolmente durante questi giorni.
Attendete e scoprirete…

27 ottobre 2020

Il fagiolo zampognaro, l’oro nero di Ischia


E’ bello, quando si è in vacanza, riportare a casa souvenirs enogastronomici. Ciò aiuta a ricordare bei momenti passati durante le ferie e consente di gustare nuovamente sapori unici assaggiati in loco. Tanto più in questo periodo, in cui non ci si può praticamente muovere potendolo fare solo con la mente e l’immaginazione.
In occasione delle mie ormai lontane vacanze estive ad Ischia, ad esempio, ho acquistato degli ottimi fagioli tipici locali, che non avevo mai assaggiato finora: i fagioli zampognari.
Si tratta di una sorta di borlotti dal colore tendente al bordeaux con screziature bianche, coltivati principalmente nella zona di Campagnano e Piano Liguori, sopra Ischia Porto, ma anche in altre zone dell’isola. Si seminano intorno alla metà di marzo e sono raccolti in tarda estate.


Sull’origine del nome vi sono varie interpretazioni ma quella che mi convince di più (e che posso confermare cuocendoli) è quella che in cottura prendono la forma della zampogna, talvolta sgonfiandosi e poi rigonfiandosi.
Fino a qualche tempo fa questa materia prima stava scomparendo ma grazie a Slow Food è stata rivalutata, con una produzione ora abbastanza consistente.
I fagioli zampognari, segnalati dal botanico Giovanni Gussone sin dal 1854, presentano una consistenza vellutata, sono molto aromatici ed hanno un sapore tendente al dolce.
L’utilizzo in cucina è il più vario ma l’ideale è mangiarli nel modo più semplice possibile, in modo da meglio apprezzarne le caratteristiche organolettiche. Consiglio quindi di gustarli semplicemente con del buon olio a crudo e prezzemolo o, in occasione di una “marenna” (merenda) ischitana, su bruschetta di pane cafone cotto in forno a legna (come quello del panificio Boccia, dove li ho anche comprati). Naturalmente si possono preparare, come ho fatto io, in una semplice zuppa, con classici soffritti e qualche foglia di alloro che gli conferisce un valore aggiunto notevole.


O ancora in un’altra zuppa molto intrigante, la cui ricetta trovate in questo video.
Si tratta in quest’ultimo caso di una zuppa di fagioli davvero gustosa e irrinunciabile, con il valore aggiunto di un ingrediente che si integra molto bene nella ricetta, delle patate tagliate a pezzettoni.
Ovviamente, essendoci ad Ischia chef stellati di notevole notorietà, questi fagioli sono da loro valorizzati al meglio, in modo anche molto estroso. Pasquale Palamaro, ad esempio, chef del ristorante Indaco dell’Hotel Regina Isabella, li utilizza creando anche un meraviglioso gelato.
Una grande materia prima d’altronde non può non essere notata dai grandi chef e dai “cacciatori di cose buone”. Che sanno bene che ad Ischia i piatti più buoni e tipici non sono di mare ma di terra e della tradizione contadina. E questi buonissimi fagioli, con le relative eccellenti preparazioni, ne sono l’ennesima dimostrazione.

13 ottobre 2020

Nel regno del re dei cuochi e del cuoco dei re: il Museo Escoffier


Auguste Escoffier (1846-1935) fu un grande chef, considerato il padre della cucina moderna. Ma definirlo soltanto chef e grande cuoco è altamente riduttivo.
Visionario e innovativo, introdusse le norme di organizzazione in cucina, che sono ancora oggi attuate, creando il sistema della “brigade” con “chefs de partie” per una migliore razionalizzazione del lavoro nei ristoranti. Pensò persino a specifici utensili per agevolare i diversi compiti in cucina.
Fu inoltre il primo a pensare al modo di conservazione degli alimenti ed a pasti veloci e equilibrati.
Introdusse poi il concetto di menù a prezzo fisso e sosteneva l’importanza della convivialità a tavola, in cui il benessere del cliente è la priorità per attrarre gli ospiti.
Escoffier, soprannominato dal Principe di Galles "Il re dei cuochi e il cuoco dei re”, fu anche scrittore e autore di molti libri e articoli. Lascia in eredità alle generazioni future la famosa “Guide Culinaire” con più di 5.000 ricette, quelle fondamentali della cucina moderna. Nel 1934 pubblicò anche "Ma Cuisine", una versione semplificata della "Guide Culinaire" per i cuochi di casa, tradotta in diverse lingue.
Ha formato altresì più di 2.000 cuochi, portabandiera della cucina e dei prodotti francesi nel mondo, senza dimenticare che insieme a César Ritz (colui dal quale prese il nome il famoso hotel parigino) diede un grande impulso all’industria alberghiera di lusso internazionale.
Creò tra l’altro anche la prima associazione mutualistica per cuochi in Gran Bretagna, per aiutare i suoi colleghi che si trovavano in difficoltà.
Una vita così interessante e la storia così affascinante di questo poliedrico personaggio possono essere ampiamente approfondite presso il Museo Escoffier e la relativa Fondazione, localizzati a Villeneuve Loubet nei pressi di Nizza. Un’opportunità unica, anche perché stiamo parlando dell'unico Museo dell’Arte Culinaria in Francia.
Il Museo è un piccolo gioiello ambientato proprio nella casa natale di Escoffier, risalente al XVIII secolo.
Nelle dieci sale in cui si articola appaiono ricordi del maestro, oggetti e utensili dell’epoca, prodotti di sua invenzione, lettere, fotografie, sculture in zucchero e cioccolato, una grande e fornita biblioteca e un centro di ricerca sulla gastronomia, aperto a tutti su appuntamento. Ovviamente si possono visitare, quasi entrando nella vita privata del padre della cucina moderna, il suo salotto, l’ufficio, la cantina, il girarrosto, il potager…
Molto interessante è anche la sala dedicata ad una notevole collezione di menù, che permettono di compiere un viaggio nella storia della gastronomia. Dalla nascita dei menù nell’ottocento agli anni 2000, passando per menù storici come quello in occasione dell'incoronazione del Re Edoardo VII di Inghilterra.
Da rilevare che in luglio ed agosto la visita al Museo si conclude con l’assaggio della famosa Pesca Melba, ricetta inventata da Escoffier.
Di grande interesse è anche la Fondazione che porta il suo nome, che nacque grazie a Joseph Donon, discepolo di Escoffier, che la volle creare in sua memoria.
La Fondazione ha l’obiettivo di arricchire le collezioni del Museo d'Arte Culinaria per rafforzare la comunicazione sulla storia della gastronomia; organizzare lezioni per consentire agli chef francesi e non solo di mantenere un alto livello di aggiornamento; contribuire al miglioramento della ricerca in campo culinario, organizzando incontri e simposi con esperti di questo settore.
La Fondazione deve essere un riferimento per la formazione e la comunicazione sull’arte culinaria - afferma Michel Escoffier, Presidente della Fondazione e pronipote di Auguste. Viaggiando molto mi sono reso conto di quanto fosse conosciuto Escoffier nel mondo ed allora ho voluto riscoprire il mio patrimonio familiare e ho profuso tutti i miei sforzi per trasmetterlo e coltivarlo. Il mio obiettivo è quello di trasferire il patrimonio di Auguste Escoffier ai giovani. Mio nonno ha permesso alla cucina di passare dal medio evo ai tempi moderni. Essa, come la moda, è in perpetua evoluzione e deve prendere in considerazione i cambiamenti nel modo di vita delle persone. Le cose che non cambieranno, invece, sono i fondamenti della cucina”.
A questo punto non ci resta che visitare questo importante luogo del gusto, riconducibile ad un uomo che ha fatto la storia della cucina francese e internazionale. Per i foodies come me amanti della Francia e della gastronomia d’oltralpe una visita al Museo è davvero d’obbligo. Ma penso che anche a chiunque ami la buona cucina in generale una capatina in questo luogo non dispiaccia per niente. Mi sbaglio?
 
Informazioni pratiche sul Museo Escoffier dell'Arte Culinaria
 
Orari di apertura:
dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18
Luglio/Agosto dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19
Chiusura annuale: Dal 1 novembre 2020 al 31 gennaio 2021 e il 1 maggio.
 
Ingresso 2020: 6 €
Tariffa ridotta: 4 € (giovani da 11 a 18 anni, studenti, disoccupati, portatori di handicap). I bambini sotto gli 11 anni entrano gratuitamente.
Gruppi: Visita guidata su prenotazione, prezzo su richiesta
 
Per ulteriori informazioni:
www.musee-escoffier.com
 
PS: Esiste anche un’associazione denominata "I Discepoli di Escoffier”. Nata a Nizza nel 1954, si è sviluppata in Francia e all’estero attraverso delegazioni regionali e nazionali con l’obiettivo di unire i discepoli di Escoffier nel mondo, trasmettendo elevate conoscenze culinarie e favorendo la loro evoluzione. Conta attualmente più di 25.000 soci nell’intero pianeta.

30 settembre 2020

Ammirando panorami e gustando prelibatezze dall’alto dell’isola d’Ischia


Per ammirare dei rari panorami mozzafiato bisogna conquistarseli e meritarseli, concordate? E questo discorso vale, l’ho sperimentato più volte di persona, anche e soprattutto ad Ischia, dove per apprezzare al meglio gli splendori naturali dell’isola bisogna inerpicarsi non poco, venendo poi ripagati da una grandissima bellezza.
Il mare più blu, le splendide baie, le ruvide e ripide scogliere dell’isola, infatti possono essere apprezzate in modo unico da punti di osservazione privilegiati che essa offre, caratterizzati tutti dall’essere collocati ben in alto sul livello del mare. Del resto la sua conformazione consente tutto ciò con un monte, l’Epomeo, che presenta un’altezza che sfiora gli 800 metri e che è situato proprio al centro dell’isola potendosi così ammirare, ad esempio, a 360 gradi tutto il suo periplo.
Anche quest’anno ho potuto vedere dall’alto panorami mozzafiato ed inediti per me, pur conoscendo bene Ischia.
Una prima lieta scoperta dal punto di vista panoramico ed anche enogastronomico l’ho fatta recandomi per la prima volta al Corbaro Park.


Si tratta di un agriturismo/ristorante ma anche di un allevamento di caprette posto molto in alto, a cui si giunge in circa un quarto d’ora di macchina dal centro di Forio.
Ma la strada per arrivarci è tutt’altro che agevole: stretta, a doppio senso di marcia, in salita con pendenze proibitive, a tratti sterrata…
Una volta arrivati, però, si è ripagati innanzitutto da un panorama bellissimo che guarda dall’alto il mare e tutto intorno le montagne (quelle di Frassitelli), boschi (di acacie, della Falanga) e impervi costoni di roccia...


La terrazza, inoltre, è deliziosa e fresca, coperta da un grande pergolato, con tanti prodotti della terra e dell’orto ben in evidenza, gattini di ogni colore e buon cibo che viene servito.



Questa azienda, presso la quale è possibile gustare un aperitivo o cenare, produce dei buonissimi formaggi di capra (le razze sono la rossa e la napoletana, salvate dall’estinzione) che sono acquistabili o possono essere consumati sul posto, accompagnati da deliziose marmellate.


La mia visita a Corbaro Park, tappa finale anche di interessanti itinerari di trekking, mi ha permesso tra l’altro di poter scoprire e apprezzare un caprino molto interessante, semistagionato, che poi ho utilizzato per diverse ricette (tra cui
questaquando sono rientrato in città.


Altro posto davvero da non perdere ad Ischia, che ho avuto modo di conoscere solo quest’anno, è la pizzeria
La Rosa dei Venti in località Fiaiano, distante circa un quarto d’ora questa volta da Ischia Porto.
Anche in questo caso si percorre una strada stretta, in salita, sia pur meno impervia di quella descritta in precedenza.
Si giunge ad un grande locale che presenta anch’esso nella sua parte esterna una vista molto molto bella sul Castello Aragonese, Vivara e i suoi dintorni.


Qui si può mangiare un po’ di tutto, dai piatti di terra della tradizione campana e non solo, a una “profonda” scelta di carni alla brace, ma soprattutto si può gustare una pizza veramente eccellente, a mio avviso.
Io sono andato sul classico che più classico non si può: una Margherita, che è sempre il “benchmark” per valutare la qualità della pizza di un locale. E che Margherita! Mai mangiata una così negli ultimi tempi: mi ha colpito il suo profumo che sa di ingredienti buoni, mediterranei, di vera pizza napoletana (e non è uno slogan trito e ritrito!), di impasto lievitato come si deve. Tra l’altro questa pizza è anche da asporto, con un costo esiguo: 3,5 € di pura bontà!


Di panorami belli ad Ischia visti dall’alto abbinati a buon cibo vi ho comunque già parlato in altri post qui sul mio blog. Ad esempio, per chi non lo conoscesse, dovete fare una capatina al
Bracconiere, o a Campagnano (ne ho parlato anche qui) dove potrete mangiare ottimi conigli all’ischitana.
Proprio a tal ultimo proposito, chi conosce bene questo piatto sa che un ingrediente fondamentale in questa ricetta è il timo selvatico (la pipernia).
Ebbene, proprio a Campagnano l’ho trovato in un vivaio ed ora è qui sul mio balcone. Quale onore…la pipernia di Ischia, qui, a casa mia… ;)

18 settembre 2020

Un piatto goloso di terra, in una terra circondata dal mare


Dopo il post della scorsa volta su Ischia e le sue migliori zingare, mi appresto a parlare ancora una volta di questa bell’isola verde e di qualche piacevole esperienza gastronomica in essa vissuta. E preparatevi, perché delle mie scorse vacanze ischitane ho molto ancora da raccontarvi…
Oggi vi parlerò di un piatto molto interessante che ha origine dal locale di un mitico panificio di Ischia Ponte, il panificio Boccia.
Quest’ultimo è un forno presso cui sin da ragazzino compravo il pane caldo di notte (un pane “cafone” davvero speciale) e che vende anche tanti altri prodotti di grande qualità (frutta e verdura anche locali, salumi, formaggi, latticini, ecc.).
Questo panificio, in ogni festa che si tiene nel borgo di Ischia Ponte (quest’anno purtroppo sospese a causa di questa maledetta pandemia), offre poi tra l’altro delle deliziose bruschette col caciocavallo impiccato.
La novità di quest’anno è che di fronte al panificio ha aperto un suo pub, dal nome molto divertente (Bisboccia) che evoca il mangiare e bere in allegria, ma si riferisce contemporaneamente al nome dello stesso panificio (Boccia), che “raddoppia” così il proprio locale (Bis-Boccia).
Nella carta di quest’ultimo figurano davvero tante cose sfiziose, dai prodotti dal forno (pane e pummarol’,  zingara con porchetta di coniglio all’ischitana) al cibo da aperitivo (polpette di melanzane su salsa di pomodori profumati) ai piatti cucinati (gnocchi di patate e cozze, peperoncini verdi, pomodorini e salsa al basilico).
Un piatto di terra interessante in carta è poi rappresentato dalle linguine con crema di zucchine, "fiorilli", provolone e tarallo sbriciolato.
Ed è proprio quest’ultimo piatto che mi ha intrigato tantissimo e che ho voluto replicare a casa, sia pur con qualche variante ancora più ischitana, come vedrete tra un attimo.
Al posto del provolone ho infatti utilizzato un formaggio caprino semistagionato prodotto ad Ischia in un’interessante realtà direi montana (Corbaro Park), di cui vi parlerò prossimamente. Ho utilizzato poi dei taralli “‘nzogn e pepe” comprati in un biscottificio artigianale in località Campagnano sempre ad Ischia, a connotare ancor di più, appunto, l’”ischitanità” del piatto.
Detto questo, ecco di seguito gli ingredienti della ricetta e l’esecuzione della stessa.
 
Ingredienti
(per 2 persone)
 
250 grammi di spaghetti (li ho usati al posto delle linguine)
3-4 zucchine
Una cipolla
Alcuni fiori di zucca
2 fette spesse di formaggio di capra semistagionato
2 taralli sugna e pepe sbriciolati
Olio extravergine
Basilico
 
In una padella far appassire in olio extravergine la cipolla tagliata finemente. Aggiungere le zucchine lavate e tagliate a dadini. Salare e pepare e profumare con del basilico sminuzzato grossolanamente. Aggiungere durante la cottura, se necessario, un po’ d’acqua. Una volta cotte le zucchine, frullarle in modo da ottenere una crema. Tenere da parte.
Far cuocere la pasta al dente e tuffarla con un po’ d’acqua di cottura nella padella con la crema di zucchine, a cui sarà stato aggiunto il formaggio tagliato a dadini.
Spadellare per bene a fiamma media. Spegnere il fuoco ed aggiungere i fiori di zucca tagliati a listarelle e mantecare ancora.
Impiattare, guarnendo con basilico, altri fili di fiori di zucca e, a mò di parmigiano, una generosa dose di tarallo sbriciolato che contiene poi al suo interno anche delle buonissime mandorle.
Un piatto davvero ben riuscito, ricco, opulento, dal sapore schietto e campagnolo, che vi invito ad assaggiare. Un piatto di terra in una terra circondata dal mare.
Niente di sorprendente. Del resto voi sapete che la cucina più tipica dell’isola è solo di terra, no?

9 settembre 2020

“Zingarate” a Ischia: la mia mini classifica


Nella mia recente vacanza ad Ischia mi sono divertito a scoprire, tra le altre cose, quella che poteva essere la migliore zingara dell’isola.
La zingara, per chi non lo sapesse, è un tipico street food ischitano composto da pane casareccio tostato, maionese, prosciutto crudo, mozzarella, lattuga e pomodoro da insalata.
La cosa divertente è che poco prima di approdare nell’isola, sull’interessante gruppo Facebook “La nostra Ischia avevo cominciato a farmi consigliare, a mo’ di sondaggio, dei locali in cui si mangia la migliore zingara di Ischia. Ebbene, una volta giunto in questa stupenda località di mare, sulla base della graduatoria venuta fuori da questa mini-inchiesta (i risultati li vedete nella foto che segue), ho voluto provare la zingara dei primi cinque locali più votati.


Va detto che i rispondenti, tra cui molta gente del luogo, hanno citato moltissime volte il locale “La Virgola” di Ischia Ponte, dove tra l’altro pare sia stato inventato questo buonissimo sandwich, se così possiamo chiamarlo, e quindi non potevo non assaggiare soprattutto questa zingara.
Ovviamente ho opportunamente distanziato, in termini di tempo, gli assaggi nei vari locali perché, come forse qualcuno di voi sa, le zingare di solito sono servite in proporzioni e dimensioni non esattamente “da signorine”.
Ecco allora, in ordine decrescente, i miei personalissimi giudizi, solo in parte coincidenti con la graduatoria di cui sopra dei votanti al “sondaggio”.

5) Bar delle rose: una zingara gradevole, croccante e golosa, caratterizzata da una buona qualità degli ingredienti tra cui un discreto prosciutto. E’ servita con maionese e ketchup a parte ed è offerta in un accogliente e ampio bar di Ischia Porto. Prezzo contenuto.

4) Play park pub: In un pub del porto frequentato soprattutto da giovani, insieme a tanti golosi panini, qui si serve una zingara fragrante, godibile, appetitosa e abbastanza leggera, preparata con del pane tagliato non troppo spesso. Buon rapporto qualità-prezzo.

3) Bar Totò: questo bar situato in una zona interna di Barano presenta innanzitutto una location incantevole e fresca nel suo lato all’aperto, ambientata in un piacevole giardinetto. La zingara del Bar Totò presenta un’ottima doratura del pane, abbondante lattuga, con tutti gli ingredienti ben bilanciati. Un morso piacevole, come la provola presente all’interno del panino. Prezzo contenuto in rapporto alla qualità del prodotto.


2) La virgola: In quello che è il locale storico con cui si identifica la zingara ad Ischia, questo street food qui è all’altezza delle aspettative, con una mozzarella ben filante, piacevole croccantezza, quantità di maionese non eccessiva e buona doratura del pane. Colpisce il perfetto equilibrio tra gli ingredienti, ad un prezzo del tutto onesto.

1) Ippocampo: Sulla spiaggia di San Pietro ad Ischia Porto questo stabilimento balneare offre una zingara abbondante, opulenta, golosa, traboccante di ingredienti, con la provola al posto della mozzarella. Unico neo: attesa un po’ troppo lunga per i miei gusti. Prezzo sopra la media degli altri locali, ma assolutamente coerente con la qualità del prodotto.


Dopo aver assaggiato tante zingare ad Ischia, quest’anno e negli anni passati, devo comunque dire che in generale nell’isola si mangia mediamente un prodotto di buon/ottimo livello qualitativo in moltissimi locali.


Ricordo sempre, ad esempio, la splendida zingara del pub Pirama, situato in una parte meno centrale del porto d’Ischia, che quando è gustata nel profondo della notte dopo belle serate estive ha un sapore ancora più speciale (altro che cornetti caldi, che sono comunque un must anche a Ischia!).
Comunque vi aggiornerò e aggiornerò questa classifica quando avrò modo di assaggiare altre zingare. Chissà, magari in occasione di qualche gita fuori stagione quando l’isola, vi assicuro, se possibile è ancora più bella…

30 agosto 2020

La rinomata minestra dei pescatori di Anzio


Nel periodo primaverile-estivo mi capita spesso di recarmi ad Anzio, posto non tanto bello dal punto di vista del mare ma molto vivace e ricco di interessanti locali per veri foodies.
Quest’anno, girando per i suoi sfiziosi ristoranti, ho notato in alcuni di essi un’etichetta che ricordava la presenza in menù di un piatto molto rinomato, la minestra dei pescatori di Anzio.
Con qualche approfondimento ho accertato che questo piatto è da poco ufficialmente una Denominazione Comunale di Origine (De.C.O.), nell’ambito di un progetto di marketing territoriale e di promozione dell'ottima cucina marinara anziate.
La minestra dei pescatori di Anzio, piatto prelibato, molto antico e tipico della cucina popolare di questa cittadina, viene preparata con brodo di mazzama, cioè con diverse tipologie di pesce povero come sgavaioni, manfroni, zerri, gardonie, tracine, presenti nel mercato ittico locale.
Come si legge nel comunicato di presentazione del Comune di Anzio, un tempo "le piccole barchette pescavano sotto costa ed al rientro il pesce veniva messo negli spasini, piccole ceste di vimini. Quello più commerciale, era caricato su carretti trainati da cavalli e si portava a Roma e Velletri, centro di smistamento per i Castelli Romani; il rimanente veniva venduto alla popolazione locale, o salato/essiccato.
Si divideva, poi, il pesce da fare arrosto (sugherelli, maccarelli, cefali), da quello adatto alla zuppa e da quello per fare il brodo con ingredienti più raffinati (arzilla e San Pietro). Considerando che non c’era il ghiaccio e quindi il pesce doveva essere lavorato subito, quello piccolo, come gli sgavaioni, veniva bollito e con il brodo si preparava la minestra.
Fatto il brodo l’indomani, in una pentola, si metteva aglio, olio, due filetti di acciuga di Anzio, alcuni pomodorini simili a quelli del Piennolo e il brodo di pesce filtrato. Si portava poi il tutto ad ebollizione.
Nel frattempo si prendevano gli spaghetti, quelli recuperati dal cartoccio (gli spaghetti venivano venduti in cartocci da un kg) già spezzati e se non bastavano se ne spezzavano degli altri. Portata a cottura nel brodo, la pasta si scodellava, con l’aggiunta di una grattugiata di pecorino”.
Questa minestra preparata dai pescatori, soprattutto nelle fredde sere d’inverno per riscaldarsi un po’, era molto economica ed alla portata di tutti, perché spesso il pesce piccolo veniva regalato. I pescatori aggiungevano al brodo di pesce anche del pane spezzato.
Io ho assaggiato da “Romolo al Porto” qualche tempo fa una minestra molto simile a questa. Il piatto originale invece lo proverò molto presto, in occasione di qualche gita di fine estate… Vi terrò aggiornati.

Ps Sempre su questo blog, qui, trovate anche la ricetta di un’altra minestra di mare tipica di Anzio, che provai qualche tempo fa ad eseguire a casa.

12 agosto 2020

Chiuso per ferie


Il mio blog si prende una piccola pausa estiva, dopo il surreale e assurdo periodo che abbiamo vissuto nei mesi scorsi.
Ci vediamo alla fine di agosto, ma nel frattempo seguitemi sui social dove sarò particolarmente attivo.
Buone vacanze a tutti e vivete delle belle “food experience”. Pian piano, vi racconterò le mie. Fatelo anche voi ;)

6 agosto 2020

Crostini di fresella con rillettes de maquereau


Siamo in estate ed è bello cucinare con gli ingredienti che tornano alla ribalta in questa stagione.
Uno di questi è la fresella, biscotto duro che viene poi ammorbidito e che è la base di tanti piatti estivi del Sud.
Ebbene, in questa occasione ho voluto prepararci un antipasto/cibo da aperitivo, che potesse legare le mie origini meridionali alla mia passione per il mondo francofono, che include ovviamente anche e soprattutto il lato enogastronomico.
Ho pensato quindi di creare un piatto “franco-napoletano” composto da una sorta di bruschetta di fresella (rompendone irregolarmente qualcuna, a mò di crostino) con sopra un paté di sgombro dal sapore del mare.
In quest’ultimo caso ho voluto imitare una di quelle splendide preparazioni gustose e golose che si trovano in Francia nelle località di mare, ad esempio nei negozi della Belle Iloise, che attraggono il consumatore innanzitutto per le loro accattivantissime scatolette colorate ma anche per le loro ricette sempre sfiziose e stuzzicanti.
Il “topping” delle bruschette di fresella l’ho quindi preparato in questo modo: ho preso dell’ottimo sgombro in scatola grigliato e sgocciolato; l’ho sminuzzato con una forchetta e amalgamato con del formaggio fresco tipo Philadelphia. Dopo aver salato (poco) e aggiunto del pepe al composto, inizia l’aggiunta di ingredienti che esaltano il sapore dello sgombro e del mare: del succo di limone, poco scalogno tritato e dell’erba cipollina tagliata finemente.
Trovo che l’erba cipollina e soprattutto lo scalogno si sposino egregiamente col pesce e con delle preparazioni del genere.
In particolare lo scalogno, che di solito utilizzo poco nella mia cucina (sbagliando), si integra davvero perfettamente in un composto come questo, conferendo freschezza ed aroma. E non è un caso che negli splendidi “plateaux de fruits de mer” che si gustano davanti al mare o all’oceano in Francia vi sia sempre una salsetta a base di scalogno ed aceto che si abbina divinamente ad esempio alle ostriche…
Tornando alle mie bruschette di fresella con rillettes de maquereau (letteralmente si traducono più o meno come “sfilacci di sgombro”) vi consiglio proprio di prepararle e provarle.


Sono ottime come aperitivo, magari da bere insieme ad un Muscadet ghiacciato, possibilmente vista mare.
Quello stesso mare, con la relativa cucina, a cui non si può rinunciare quando si è in vacanza in estate. La pensate anche voi come me?

Ps potete bagnare leggermente (anche in acqua di mare) le bruschette di fresella per tenerle più morbide, ma se preferite potete anche lasciarle così come sono, più croccanti.

30 luglio 2020

Wadden, un paradiso per gli amanti del mare, della natura e dei grandi spazi

Foto credits Ente Nazionale Olandese del turismo in Italia
Vi voglio parlare oggi di un luogo di mare, nel Nord dei Paesi Bassi, dove voglio andare assolutamente, caratterizzato da una natura selvaggia davvero affascinante.
Mi riferisco al mare di Wadden (“Waddenzee”), inserito nel 2009 tra i siti del patrimonio mondiale dell'UNESCO.
Si tratta di un luogo speciale dove il paesaggio cambia continuamente grazie alle maree e che quindi non viene quasi mai vissuto allo stesso modo. Un posto insomma dove gli amanti della natura hanno molto da scoprire, bello e affascinante anche e soprattutto d’inverno, con forti venti, cieli tormentati e tramonti mozzafiato dai mille colori.
L’avventura nella natura può iniziare sulla bellissima isola di Terschelling dove, per mantenere intatte le bellezze naturali, diverse aree sono chiuse al traffico. Il mezzo ideale per esplorare l’isola è quindi la bicicletta, meglio se elettrica (potete anche prenderla a noleggio) perché possiede delle gomme particolarmente larghe per poter pedalare sulla sabbia.
Una volta in spiaggia, è d’obbligo una visita al vecchio rifugio per naufraghi (Drenkelingenhuisje) che qui hanno trovato la loro salvezza; si tratta di una piccola casetta in legno, sorretta da lunghi pali piantati nella sabbia.
Pedalando lungo l’argine della diga si raggiunge poi la zona Noordsvaarder, famosa per le sue dune particolarmente alte, ideali per lunghe escursioni nella pace assoluta. Con la bassa marea la spiaggia si trasforma in una splendida opera d'arte naturale, in cui il faro Brandaris domina il paesaggio e funge da punto di riferimento per ripercorrere la strada del ritorno.

Foto credits Ente Nazionale Olandese del turismo in Italia
Oltre ad essere amata per le sue bellezze naturalistiche, l’isola pare venga anche apprezzata per la particolare gentilezza dei suoi abitanti, che ancora dedicano tempo e attenzione a turisti e visitatori.

Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Ente Nazionale Olandese del turismo in Italia - Anna Malagoli, press@viaggiareinolanda.it

27 luglio 2020

I laghi prealpini e la Belle Époque

Foto tratta dal sito del Museo doganale svizzero 
Se potete andarci, come spero di poter fare anch’io, vi segnalo una mostra che deve essere davvero molto interessante.
Al Museo doganale svizzero a Cantine di Gandria a Lugano, luogo tra l’altro che si raggiunge fascinosamente solo in battello, è in corso un’esposizione temporanea dedicata alla Belle Époque in alcune località turistiche lacustri.
Il tutto è raccontato in particolare attraverso venti grandi manifesti provenienti dalla Biblioteca nazionale svizzera, che narrano il fascino del turismo nella regione dei laghi di Lugano e Locarno durante quello splendido periodo che va dal 1880 al 1915.
Un piacevole viaggio nel tempo in un’epoca in cui, come sottolinea giustamente il testo di presentazione della mostra, “partire in vacanza era ancora un privilegio per pochi”.
La mostra terminerà il 18 ottobre 2020 (orari di apertura da martedì a domenica dalle 12 alle 16). Approfittatene!