Ultimamente mi sta
capitando spesso di scrivere di oli di qualità (come ad esempio qui)
e lo faccio con grande piacere perché sto scoprendo o riscoprendo tante belle
realtà che producono extravergini di gran pregio.
Una di queste è senz’altro la Cooperativa Agricola Colli Etruschi di Blera in provincia di Viterbo, per i cui 50 anni di vita sono stato di recente invitato in loco, per un interessante ed istruttivo weekend celebrativo.
Una di queste è senz’altro la Cooperativa Agricola Colli Etruschi di Blera in provincia di Viterbo, per i cui 50 anni di vita sono stato di recente invitato in loco, per un interessante ed istruttivo weekend celebrativo.
La Cooperativa
Agricola Colli Etruschi nasce appunto a Blera, un piccolo borgo di origini
etrusche, per iniziativa di un gruppo di 18 olivicoltori che nel 1965 hanno deciso
di riunirsi per abbattere i costi di produzione e dotarsi di moderni impianti
di estrazione. La progressiva crescita della qualità del prodotto, tra la fine
degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, ha portato la Cooperativa ad aprirsi maggiormente
alla commercializzazione. Nuovi investimenti e una totale riorganizzazione
aziendale hanno condotto poi a una serie di scelte orientate sempre più alla
qualità, che negli anni ha avuto come naturale conseguenza tanti riconoscimenti,
tra cui dei prestigiosi premi nazionali e internazionali.
La Cooperativa
Agricola Colli Etruschi vanta oggi 330 soci, che coltivano oltre 40.000 piante,
distribuite su 800 ettari, situati nei dintorni di Blera e caratterizzati da
terreni di natura vulcanica, tufacei e in parte argillosi.
Presso la Cooperativa abbiamo avuto modo di visitare gli impianti, seguendo con grande interesse le informazioni fornite dal Direttore Nicola Fazzi.
E’ da sottolineare che il processo produttivo dell’olio segue un iter che tutela la qualità delle olive e l’ambiente. La raccolta è anticipata a metà ottobre, il che consente così di trasferire all’olio quel sentore erbaceo, con sfumature di cardo tipici delle cultivar locali (come diceva Plinio il Vecchio, l’olio migliore si ricava dalle olive più acerbe). Inoltre per molire le olive entro le 12 ore dalla raccolta le stesse, provenienti dai diversi olivicoltori, non vengono separate per produttore.
Presso la Cooperativa abbiamo avuto modo di visitare gli impianti, seguendo con grande interesse le informazioni fornite dal Direttore Nicola Fazzi.
E’ da sottolineare che il processo produttivo dell’olio segue un iter che tutela la qualità delle olive e l’ambiente. La raccolta è anticipata a metà ottobre, il che consente così di trasferire all’olio quel sentore erbaceo, con sfumature di cardo tipici delle cultivar locali (come diceva Plinio il Vecchio, l’olio migliore si ricava dalle olive più acerbe). Inoltre per molire le olive entro le 12 ore dalla raccolta le stesse, provenienti dai diversi olivicoltori, non vengono separate per produttore.
Il processo
produttivo segue poi un percorso virtuoso che permette anche di abbattere i
costi. Gli innovativi macchinari per la frangitura, ad esempio, consentono di
ottenere un notevole risparmio di acqua.
Nel 2015 sono stati moliti 11.500 quintali di olive, da cui sono stati ottenuti 1.400 quintali di olio, di cui 75 di olio BIO e 60 di EVO DOP Tuscia.
Proprio questi ultimi due sono i prodotti maggior pregio dell’azienda, che abbiamo avuto modo di degustare e apprezzare presso la stessa Cooperativa. Tra l’altro l’EVO DOP Tuscia (cultivar: Caninese) ha ottenuto un punteggio altissimo nell’autorevole Guida presentata recentemente, la Flos Olei 2016, in cui viene descritto “dal colore giallo dorato intenso, con delicate sfumature verdi, complesso e avvolgente al naso con decise note di carciofo, cicoria di campo e lattuga; amaro potente e piccante al palato, con sentori speziati di pepe nero e netto ricordo di mandorla dolce”.
Le caratteristiche sopra descritte di quest’olio si esprimono al meglio in abbinamento con la grande cucina e le grandi materie prime di qualità. E’ quello di cui abbiamo avuto conferma in occasione della cena stellata a quattro mani preparata dai bravissimi chef Iside di Cesare della Parolina e Danilo Ciavattini dell’Enoteca La Torre.
Nel 2015 sono stati moliti 11.500 quintali di olive, da cui sono stati ottenuti 1.400 quintali di olio, di cui 75 di olio BIO e 60 di EVO DOP Tuscia.
Proprio questi ultimi due sono i prodotti maggior pregio dell’azienda, che abbiamo avuto modo di degustare e apprezzare presso la stessa Cooperativa. Tra l’altro l’EVO DOP Tuscia (cultivar: Caninese) ha ottenuto un punteggio altissimo nell’autorevole Guida presentata recentemente, la Flos Olei 2016, in cui viene descritto “dal colore giallo dorato intenso, con delicate sfumature verdi, complesso e avvolgente al naso con decise note di carciofo, cicoria di campo e lattuga; amaro potente e piccante al palato, con sentori speziati di pepe nero e netto ricordo di mandorla dolce”.
Le caratteristiche sopra descritte di quest’olio si esprimono al meglio in abbinamento con la grande cucina e le grandi materie prime di qualità. E’ quello di cui abbiamo avuto conferma in occasione della cena stellata a quattro mani preparata dai bravissimi chef Iside di Cesare della Parolina e Danilo Ciavattini dell’Enoteca La Torre.
La cena si è
tenuta presso l’agriturismo Poggio al Sasso ed ha visto
come protagonista l’olio EVO in grandi piatti, abbinati anche ad ottimi vini.
Mi ha colpito
in particolare il “Brodo di ceci del solco dritto di Valentano con marroni dei
Monti Cimini e raviolo liquido di EVO”. Un gran piatto del territorio in cui il
raviolo faceva esplodere in bocca tutto l’aroma e la forza dell’olio, che ben
si attenuava però con la dolcezza e la pastosità delle castagne e dei ceci.
Buono
anche il piatto, semplice ma straordinario per qualità delle materie prime, chiamato
“Merluzzo, aglio, olio EVO e peperoncino”. E come non citare l’ottimo risotto
rapa rossa, zafferano, mandarino candito e olio EVO?
Un tour nella
zona di Blera non poteva prescindere da una visita al territorio etrusco. Necropoli,
ponti e affascinanti “tagliate” (gole scavate nella roccia) hanno
spettacolarmente accompagnato la nostra passeggiata, impreziosita dalle notizie
fornite dalla brava guida che ci ha accompagnati, dell’associazione Antico Presente.
La bellezza
della natura di questa zona, che il nostro tour ci ha permesso di apprezzare
pienamente, fa pensare quanto straordinario e magari ancora poco valorizzato turisticamente
sia questo territorio.
L’importante azienda, sempre del territorio di Blera, presso cui ci siamo recati si chiama San Giovenale.
Appena arrivati, non si può fare a meno di notare la cantina: una rivisitazione in chiave moderna di un capannone agricolo che al tempo stesso rappresenta la tradizione e l’innovazione nell’uso e nell’accostamento dei materiali, che hanno portato all’azienda anche prestigiosi premi. All’interno della cantina la vetrata in fondo si spalanca sui vigneti e su dolci colline, dopo le quali c’è solo il mare.
Un territorio
permeato dalla raffinata cultura etrusca della
quale, oltre alle opere d’arte e ai resti delle città e delle necropoli,
sopravvivono memorie anche nel paesaggio agrario: non dimentichiamo che agli
Etruschi si deve l’introduzione e la diffusione dell’olivicoltura in Italia!
Il nostro tour
si è concluso con un’altra interessante visita, questa volta presso una realtà
vinicola.
L’importante azienda, sempre del territorio di Blera, presso cui ci siamo recati si chiama San Giovenale.
Appena arrivati, non si può fare a meno di notare la cantina: una rivisitazione in chiave moderna di un capannone agricolo che al tempo stesso rappresenta la tradizione e l’innovazione nell’uso e nell’accostamento dei materiali, che hanno portato all’azienda anche prestigiosi premi. All’interno della cantina la vetrata in fondo si spalanca sui vigneti e su dolci colline, dopo le quali c’è solo il mare.
Emanuele
Pangrazi, il giovane proprietario dell’azienda, è un imprenditore dalle idee
chiare e dal carattere deciso che ha fortemente voluto realizzare un progetto
di una cantina di alto livello, in un territorio tradizionalmente vocato più
all’oliveto che al vigneto. L’idea di dedicarsi al vino e la determinazione con
cui ci è riuscito con successo nasce dalla volontà di costruire qualcosa di importante
da lasciare ai suoi figli. E così, gradualmente, il progetto ha preso forma.
Il suo impegno si è concentrato su un unico grande vino, l’Habemus, 5.000 bottiglie prodotte all’anno, che si è imposto subito all’attenzione del mercato e della critica.
“All’inizio, non avendo esperienza nel settore, ho cominciato a girare, a documentarmi, dichiara Emanuele. E poi ho cercato di partire bene, affidandomi alle persone giuste”.
Una mano gliel’ha data anche la stessa zona dove sorge l’azienda, che ha un’invidiabile posizione: vicinanza con il mare che riesce a far arrivare i suoi benefici effetti, determinando condizioni climatiche ideali, soprattutto nel periodo pre-vendemmiale; il vento e il suolo fatto di argille e pietre fanno il resto, rendendo questo territorio assolutamente paragonabile a quello della Valle del Rodano. E non è un caso che la scelta dei vitigni sia ricaduta sul Grenache, Syrah e Carignan.
Dopo aver visitato un vigneto in fase sperimentale con 44.000 ceppi per ettaro, abbiamo ammirato i grandi serbatoi in acciaio dotati di tecnologie avanzate della cantina, dove il vino rimane per 15 giorni. Quest’ultimo poi passa nelle pregiate barrique bordolesi della Tonnellerie de L’Adour, per farlo respirare di più. Dopo un periodo di permanenza di 20 mesi in barrique, il vino viene infine affinato in bottiglia.
Il suo impegno si è concentrato su un unico grande vino, l’Habemus, 5.000 bottiglie prodotte all’anno, che si è imposto subito all’attenzione del mercato e della critica.
“All’inizio, non avendo esperienza nel settore, ho cominciato a girare, a documentarmi, dichiara Emanuele. E poi ho cercato di partire bene, affidandomi alle persone giuste”.
Una mano gliel’ha data anche la stessa zona dove sorge l’azienda, che ha un’invidiabile posizione: vicinanza con il mare che riesce a far arrivare i suoi benefici effetti, determinando condizioni climatiche ideali, soprattutto nel periodo pre-vendemmiale; il vento e il suolo fatto di argille e pietre fanno il resto, rendendo questo territorio assolutamente paragonabile a quello della Valle del Rodano. E non è un caso che la scelta dei vitigni sia ricaduta sul Grenache, Syrah e Carignan.
Dopo aver visitato un vigneto in fase sperimentale con 44.000 ceppi per ettaro, abbiamo ammirato i grandi serbatoi in acciaio dotati di tecnologie avanzate della cantina, dove il vino rimane per 15 giorni. Quest’ultimo poi passa nelle pregiate barrique bordolesi della Tonnellerie de L’Adour, per farlo respirare di più. Dopo un periodo di permanenza di 20 mesi in barrique, il vino viene infine affinato in bottiglia.
Bellissima
e molto interessante è stata la nostra visita proprio alla barricaia, dove
abbiamo anche assaggiato dalle stesse barrique i vini provenienti dai vitigni
in purezza.
Con un
light lunch a base di gustosissimi salumi e naturalmente ottimi vini (l’Habemus
delle annate 2010, 2011 e 2013) si è conclusa la nostra visita.
Non mi
resta quindi che fare tanti complimenti alle aziende di questo territorio, che sta
cominciando ad esprimere appieno le sue potenzialità e ad essere davvero attrattivo,
grazie anche ad un emergente tessuto imprenditoriale giovane, dinamico e
ambizioso.
E un doveroso grazie devo riservarlo a Carlo Zucchetti ed al suo staff che, oltre ad organizzare come sempre in modo egregio questi “educational tour”, mi ha consentito di “toccare con mano” queste belle realtà.
E un doveroso grazie devo riservarlo a Carlo Zucchetti ed al suo staff che, oltre ad organizzare come sempre in modo egregio questi “educational tour”, mi ha consentito di “toccare con mano” queste belle realtà.
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