Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

10 settembre 2015

Peppe Guida’s spaghetti(ni) all’acqua di limone


Dovevo cucinare questo piatto. La tentazione si è manifestata a più riprese su Facebook e su diversi e autorevoli siti (per esempio questo) e alla fine ho ceduto ed ho provato a farlo.
Sto parlando degli spaghettini all’acqua di limone con olio extravergine e Provolone del Monaco dello chef stellato Peppe Guida dell’OsteriaNonna Rosa a Vico Equense.
Un piatto del territorio, preparato con due delle più rappresentative materie prime della penisola sorrentina (il limone e la Dop Provolone del Monaco), semplice, ma se vogliamo geniale.
Geniale perché si prepara utilizzando come acqua di cottura l’acqua che si viene a creare con le bucce del limone tenute in infusione. Ne viene fuori un piatto quasi risottato, cremoso, reso fluido e lucido dall’olio, ben mantecato con il Provolone del Monaco e delicatamente profumato: super buono!
Un ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che Peppe Guida è un grande ed uno dei miei chef preferiti in assoluto in Italia.

Ecco la ricetta:

Spaghettini con acqua di limone, olio extravergine e Provolone del Monaco

Ingredienti:

280 gr di spaghettini
3 limoni bio
circa 1/2 litro di acqua
100 gr. di Provolone del Monaco giovane grattugiato
olio extravergine q.b.
pepe nero

Mettere le scorze di limone a macerare in acqua per una notte. Trascorso questo tempo, scolatele e portate a bollore l’infuso ottenuto. Aggiungere gli spaghettini con un goccio d’olio e cuocete aggiungendo acqua, se c’è bisogno. Infine mantecate con il formaggio e finire con pepe e un goccio d’olio.
Piccola mia variante, marginale e solo estetica: guarnire con una bella e profumata foglia di limone.

Ps: chi vuole tornare con me al ristorante di Peppe Guida mi faccia sapere, perché io ci andrò molto presto!

4 settembre 2015

A cena da Don Camillo


Durante il mio recente soggiorno ad Ortigia (Siracusa) non potevo non recarmi nel miglior ristorante della zona, oltre che uno dei più noti dell’intera Sicilia: il Don Camillo.
Devo dire di aver “scoperto” e di esser rimasto incuriosito da questo locale seguendo qualche tempo fa una trasmissione sul Gambero Rosso Channel in cui Simone Rugiati faceva delle scorribande enogastronomiche nella zona del siracusano.
E mi aveva colpito la bontà di un piatto, se vogliamo molto semplice, preparato dallo chef di questo ristorante, che valorizzava il pescato povero e che poi ovviamente non ho rinunciato ad assaggiare. Una volta giunto a Siracusa, sono infatti voluto andare a tutti i costi in questo splendido locale, che si è rivelato all’altezza delle attese.
Il ristorante Don Camillo nasce nel 1985 grazie a Camillo Guarneri e a suo figlio Giovanni, palermitano, l’attuale chef e patron del locale, come piccolo locale a conduzione familiare.
Ma la sua evoluzione continua lo ha portato negli anni ad essere uno dei ristoranti siciliani più apprezzati, con una ricerca costante della qualità e una forte valorizzazione delle materie prime locali, del territorio e della tradizione.
Ubicato in una stretta e fascinosa strada che porta direttamente al mare, il ristorante presenta degli interni ricavati dai resti di un edificio religioso crollato con il terremoto del 1693, con delle meravigliose volte catalane che non fanno che aumentare lo charme del locale, che seduce in mille modi il visitatore.
Accolto da uno staff altamente professionale che mi ha coccolato con un servizio serio e attento, ho cominciato la mia food experience scegliendo il menù degustazione di pesce.
Del resto in un posto di mare splendido come Ortigia non potevo non assaggiarlo e il risultato è stato davvero delizioso, anche se devo dire che scorrendo il menù degustazione di carne sono stato fortemente tentato nello sceglierlo.
Il menù di pesce è cominciato con un benvenuto molto piacevole, rappresentato da un bicchierino con una cozza, la sua acqua e limone, molto delicato e gradevole.


L’antipasto prevedeva una crema di mandorle di Noto con gamberi in crosta nera, che ho molto apprezzato. In sostanza si trattava di gamberi rivestiti di una crosticina di nero di seppia tuffati in una rustica crema di mandorle. Piacevoli i contrasti e le consistenze e ottima la qualità delle materie prime.


Per quanto riguarda i primi, il menù comprendeva due piatti, gli spaghetti delle Sirene con un gustosissimo e dolcissimo riccio di mare ad impreziosire la portata e i sedanini di grano antico con filetti di sgombro, patate e finocchietto selvatico.


Quest’ultimo è il piatto fantastico di cui alla trasmissione televisiva che citavo prima e che si è rivelato, come mi attendevo, strepitoso.


Lo sgombro si scioglieva in bocca, e si fondeva benissimo con la cremosità delle patate (ben vengano questi addensanti naturali!), il profumo delle cipolle e del vino bianco, presente nella ricetta. Perfetto l’abbinamento col finocchietto ed anche il tipo di pasta era ideale per questa preparazione. Un gran piatto davvero, che mentre scrivo avrei tanto desiderio di riassaggiare!


Tra i secondi il menù ha proposto un buon filetto di cernia con crema di patate, sedano e carote e un altro grande, strepitoso piatto da applausi a scena aperta: la tagliata di tonno con marmellate di peperoni. Due tipi di peperoni, quelli rossi e quelli verdi, cioè a dire i friggitelli.


Un piatto innanzitutto ben presentato, con le marmellate adagiate in appositi scomparti, alternate una dopo l’altra.


Ma anche di una bontà estrema. Trovo che tonno e peperoni stiano insieme benissimo e la dolcezza delle creme di peperoni, dalle caratteristiche differenti, ben si sposava con la tagliata di tonno, cucinata al punto giusto, rosata al centro, cotta all’esterno e fantastica mangiata anche da sola, senza accompagnamento.


Sono questi i piatti che fanno felice il cliente e che lo spingono a spendere un po’ di più pur di mangiare qualcosa di straordinario!
E’ stata poi la volta del pre-dessert, un fantastico gelo di mellone per ricordare il legame con la tradizione e, per finire, il dessert del giorno, composto da ottimi dolci che attingono a piene mani alle materie prime locali e di stagione. Ottimo quindi il tortino di una freschissima ricotta con le pere, quello di pistacchio e cioccolata e il gelato di fichi con mousse di cioccolato bianco.


Tutti questi piatti sono stati accompagnati da ottimi vini, scelti da un’autentica “antologia” dove figurano meravigliose e prestigiose etichette sia regionali, che nazionali, che internazionali.
Proprio una bella esperienza, quindi, la mia prima cena da Giovanni Guarneri, un uomo che, oltre a fare un’ottima cucina (e a tifare Palermo), ha anche voluto festeggiare i trent’anni del suo locale scrivendo un libro (“Cu mangia fa muddichi”) dove racconta la sua storia, e ovviamente quella del ristorante, arricchita da tanti aneddoti, da personaggi noti con cui negli anni è venuto a contatto e non facendo mancare gustose ricette.

27 agosto 2015

Mercato di Ortigia, un tripudio di cose buone


In vari post più o meno recenti ho sempre sostenuto che recarsi in un mercato è sempre una festa. A causa dei colori che “trasmettono” le materie prime agricole in vendita, dei loro profumi, della freschezza e stagionalità dei prodotti offerti, delle idee di ricette che possono venire in mente man mano che si scorrono i banchi, della vivacità delle persone che vi lavorano e delle diverse “umanità” che esprimono questi luoghi.
E il mercato di Ortigia, la parte di Siracusa che si protende nel mare, ne è più che mai una conferma.
In questo splendido angolo di Sicilia, tra le vie che lambiscono il mare blu, c’è infatti un mercato davvero interessante che presenta anche delle particolarità che via via vi illustrerò in questo post.


Non si può non precisare, evidentemente, che il protagonista di questo mercato è il pesce. 


Un pesce freschissimo, pescato a pochi metri da lì, con mille varietà e specie quasi ancora vive.


Pesce azzurro, seppie, pesce bandiera, spada, gamberoni spettacolari (tra l’altro a prezzi non proibitivi), scorfani, calamaroni. Che sembrano uscire da un quadro di Guttuso…



Ai frutti di mare, poi, è adibito anche uno specifico banco che vende fasolari, vongole, ostriche e cozze che possono essere degustate sul posto anche crude, insieme ad un buon bicchier di vino, su appositi tavolini situati accanto al punto vendita.
Ottima anche l’ortofrutta. La zona, come noto, regala prodotti stupendi, a partire dai pomodorini di Pachino, venduti anche secchi o ridotti in “poltiglia” (capuliato). E poi le mitiche cipollone di Giarratana, di cui avevo solo sentito parlare e che mi sono faticosamente portato in aereo. 


Tra la frutta, figurano tra l’altro delle ottime pesche, dei dolcissimi meloni bianchi e i fichi d’india del non lontano Etna, dai colori seducenti.


Stupenda anche la parte che riguarda la vendita di erbe, spezie (persino bulbi di zafferano da far crescere sul proprio balcone!), paste di mandorla di ogni genere, pistacchi in granella, estratto di pomodoro (sembra quasi qui di tornare ai tempi in cui questo prodotto veniva venduto solo sfuso), e prodotti caseari, con le ricotte salate in prima linea.



A tale ultimo proposito, in questo mercato vi sono un paio di negozi/banchi che vendono gustosissimi formaggi siciliani da abbinare con tanti prodotti, anche sott’olio, per un aperitivo sfizioso (alcuni di questi punti vendita sono aperti fino a sera) o dei ricchi panini iperimbottiti e gustosi.


La cosa più divertente a mio avviso del mercato di Ortigia è la presenza, a latere del mercato stesso, di piccoli banchetti dove vengono venduti peperoni (quelli rossi più piccoli e allungati) grigliati al momento, come anche patate, cipolle o, se non ricordo male, zucchine. Uno street food se vogliamo atipico, ma molto interessante.


Intanto, sempre su banchetti improvvisati, venditori ambulanti offrono il frutto del loro pescato di barca, che quindi può essere di ogni tipo e variabile da giornata a giornata. Il pesce è freschissimo, quasi vivo, e i prezzi sono a dir poco vantaggiosi.


Infine, altri venditori aprono ricci freschissimi e con pazienza e dedizione raccolgono in bicchierini il magico e attraente interno, di colore arancio-giallastro. Un bicchierino = 15 euro. 15 euro di felicità…

16 agosto 2015

Cartolina da Ortigia


Un tempo quando si andava in vacanza si mandavano ad amici e parenti le cartoline. Non che ora non si faccia più, ma il fenomeno è molto più contenuto, vista la presenza di una miriade di social network con i quali si può condividere quasi ogni istante della propria “villeggiatura” (pure quest’ultimo è ormai un termine stra-desueto) e non solo.
Mi adeguo ai tempi (anche se sono un nostalgico delle cartoline e delle lettere cartacee, lo ammetto) e vi invio una “cartolina virtuale” dalla splendida Siracusa, dove sono stato fino a ieri.
E’ un posto meraviglioso, di cui vi parlerò con tanti reportage, appena rientrato dalle vacanze.
La foto di questo post riguarda uno dei tanti banchi del mercato di Ortigia, uno splendido e magico luogo dove ho scoperto tanti nuovi prodotti e ammirato, incantato, il freschissimo e ricchissimo pescato che viene offerto a turisti e visitatori.
Su questo mercato farò un post a parte, lo merita. Anche per raccontarvi tante curiosità che lo rendono unico.
Stay tuned e ancora buone vacanze a tutti!

9 agosto 2015

Alla scoperta di Mògoro e dintorni


I vini vulcanici in Italia hanno la caratteristica di provenire un po’ da tutto il territorio nazionale, con una distribuzione a macchia di leopardo, ma che segue in qualche modo una linea di continuità da Nord a Sud.
E mi piace pensare che anche gli eventi che li celebrano debbano necessariamente  seguire una sorta di fil rouge nel corso dell’anno, con una distribuzione delle relative manifestazioni lungo i dodici mesi, per non dimenticare la loro grande e piacevole mineralità e indiscutibile bontà.
E in effetti dopo il bel weekend passato nel maggio scorso tra Montefiascone, Pitigliano e Orvieto la linea di continuità è potuta proseguire, con un altrettanto bell’evento sul tema, nella splendida terra di Sardegna. E precisamente nella cittadina di Mògoro e nei suoi dintorni, una zona della Sardegna Occidentale non lontana da Oristano e a circa mezzora di macchina da Cagliari.
Insieme a giornalisti, esperti, degustatori e sommelier il mio Volcanic Wines Tour è cominciato la scorsa settimana, presso l’agriturismo Su Entu, un posto davvero incantevole che nasce ai piedi dello splendido Nuraghe Cuccurada che è stato emozionante “conoscere” di sera, illuminato, anche da una affascinante luna piena.
L’agriturismo è immerso nel verde e nell’incantevole macchia mediterranea che splendidamente caratterizza la Sardegna. Una macchia mediterranea che comprende anche il lentischio, presente quella sera sulla nostra tavola e utilizzato di solito per aromatizzare piatti tipici come il porceddu, che vengono arricchiti anche grazie al loro intenso profumo resinoso.


La cena presso questo bell’agriturismo ci ha permesso di assaggiare tante ricette tipiche della zona, tra cui dei saporiti e fantastici malloreddus, cotti nel brodo di capra e conditi con il suo ragù e pecorino: un grande piatto davvero! 


Abbiamo proseguito su questa linea anche nel secondo piatto, con la carne di capra mangiata sia in umido che bollita. 


Interessante rilevare che la carne aveva un sentore di macchia mediterranea, perché in questo periodo l’animale non può nutrirsi di altro, visto che l’erba a quest’epoca scarseggia. L’ottima cena ha previsto tante altre squisitezze, tra cui una buonissima marmellata di melone con acquavite da accompagnare ai grandi pecorini tipici della regione.
Il giorno dopo il nostro tour ci ha portati alla visita della più interessante e grande cantina della zona, la Cantina di Mògoro, fondata nel 1956. L’azienda gestisce 450 ettari di vigne da cui si ottengono ogni anno 850 mila bottiglie.


Uno dei suoi vanti è la valorizzazione del vitigno a bacca bianca Semidano, con il quale sono prodotti due vini molto apprezzati: il Puistèris e l’Anastasìa.


Ma la cantina produce anche altri vini fortemente legati al territorio, come il Bovale e la Monica, oltre agli altri vitigni della tradizione sarda (Nuragus, Vermentino, Cannonau, Malvasia, Moscato).


Dopo l’istruttiva visita alla cantina, è seguita presso il non lontano ristorante Taraxi una piacevole degustazione di vini vulcanici, non solo sardi.
Di rilievo, a mio avviso, l’Etna Bianco Doc Petralava 2014 antichi Vinai, vinificato in quella zona che da alcuni viene definita “la piccola Borgogna”.
Interessanti anche i due vini vulcanici esteri, il giapponese Koshu Kayagatake 2012 Grace Wine e il Pico do Fogo vinho do fogo Reserva 2012 vinha Maria Chaves, prodotto nell’isola di Santiago a Capo Verde. Qui si produce anche il groog che bevevano un tempo i pirati.
Non potevano mancare gli ottimi vini sardi come il Semidano di Mogoro Puistèris 2012 che utilizza una delle più antiche uve della Sardegna, il Semidano appunto, che tra l’altro figurano tra quelle meno prodotte nel territorio regionale. Il Semidano in questione nasce sui terreni argillosi e sabbiosi del Monte Arci e il relativo vino si presta molto bene all’invecchiamento. Una curiosità: una delle origini del nome può essere, tra le altre, quella di “vino del fato”, del destino…
Molto buono anche l’altro sardo Bovale Igt Marmilia 2013 di Su Entu, molto minerale, dal sentore di frutti rossi ottenuto nonostante le maggiori difficoltà, rispetto ad altri vini, nella vinificazione.
Dopo un buon pranzo a base di pesce e tipicità sarde al ristorante Da Egisto a Mògoro, è stata la volta della visita all’interessantissima Fiera del tappeto della stessa cittadina, inaugurata nel lontano 1961.


Da oltre 50 anni Mògoro è una vetrina dell'artigianato artistico e tradizionale della Sardegna e promotrice dei manufatti d'eccellenza. L’obiettivo è sostenere l'artigianato di Mògoro, che ha origine dalla laboriosità delle donne che realizzavano con il telaio i tessuti indispensabili al fabbisogno della casa: sacchi del grano, capi di abbigliamento, lenzuola, tovaglie. Ma non solo: con il telaio venivano e vengono realizzati anche dei bellissimi arazzi, arricchiti dai segni della tradizione (richiami ai fiori, al mondo vegetale e animale).


Col tempo, la Fiera del Tappeto si è aperta alle produzioni artistiche di tutta la Sardegna e quindi non vi figurano solo tappeti tessuti e disegnati manualmente con laboriosità da sapienti artigiani, ma anche tanti altri prodotti sempre artigianali come le ceramiche, di cui la zona di Oristano è una sorta di polo produttivo.


E ancora manufatti derivanti dalla lavorazione dei metalli non preziosi, del ferro, del rame, da cui si ottenevano gli oggetti essenziali per il lavoro e la vita quotidiana.
Per tenere a mente e non dimenticare che i vini vulcanici nascono da terreni con particolari caratteristiche che conferiscono loro profumi e sapori unici, abbiamo successivamente visitato il Geo Museo del Monte Arci a Masullas (OR).
Ospitato in un ex convento dei Cappuccini, questo museo è dedicato al Monte Arci, alle sue rocce e ai suoi minerali, dai quali si evince la sua storia geologica. Nel museo sono presenti numerosi reperti, alcuni unici nel loro genere, e spettacolari sale (in una di esse viene mostrata la splendida fluorescenza dei minerali). Non manca anche un percorso multimediale in cui viene raccontato il clima e la vita che caratterizzavano l’epoca miocenica attorno al Monte Arci. Bellissima, infine, la grande lastra di pesci fossili risalente a 20 milioni di anni fa, incredibilmente giunta fino a noi.


Il tour dei Volcanic Wines in Sardegna si è concluso in serata con dei banchi di assaggio dei vini vulcanici della manifestazione, presso il Museo del Carmine a Mògoro.
Prima di ripartire, ho avuto anche il tempo di visitare le antiche (risalgono al 1898) Terme di Sardara un posto ideale dove rilassarsi, e godere di acque che hanno caratteristiche rare da trovarsi in Italia e paragonabili solo a quelle di Vichy. E in queste acque è possibile fare un magico bagno anche di sera, all’aperto, una volta alla settimana…


Per finire, è doveroso fare tanti ringraziamenti per l’ottima accoglienza alla Cantina di Mògoro e in particolare a Linda Argiolas che ha organizzato davvero egregiamente questo evento. Un evento che ha dimostrato in concreto che la valorizzazione dei prodotti del territorio può avere un’efficacia molto maggiore se svolta in sinergia con tutte le altre risorse non solo agricole (artigianato, natura, arte) che lo stesso terroir può offrire.