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8 aprile 2016

Un etnologo al bistrot

Foto tratta dal sito www.raffaellocortina.it
Non credo di avervi mai detto che sono un assiduo lettore dell’inserto domenicale del Sole 24 Ore, un ottimo settimanale che parla di cultura in tutte le sue espressioni, dall’arte alla letteratura, dalla filosofia alla storia, dalla musica al cinema.
Ebbene, grazie a questo interessante supplemento e ad un suo bell'articolo ho scoperto un delizioso libro ("Un etnologo al bistrot") che consiglio a tutti coloro i quali, come me, amano la Francia e quegli affascinanti locali e “istituzioni” che rispondono al nome di bistrot.
Un libretto molto gradevole che si legge piacevolissimamente e scorrevolmente che riguarda appunto proprio questi luoghi, analizzati e sviscerati dall’autore (l’etnologo Marc Augé) sotto i più vari profili e punti di vista.
Il bistrot è un simbolo della Francia e, sia pur esportato in tutto il mondo, rimane sempre un emblema che la identifica, rappresentando un baluardo anche della città dove più sono presenti non solo fisicamente, e cioè Parigi.
Il bistrot è un luogo delle relazioni “di superficie”, dove non conta ciò di cui si parla (a volte si scambiano parole per non dire nulla), ma piuttosto i gesti che si compiono e le interazioni con le persone. Anche se bisogna ammettere che il bistrot non è soltanto un luogo di relazioni sociali, ma pure il posto dove ognuno ritrova sè stesso (al bistrot vi sono più persone sole che coppie) senza interagire con gli altri. O al massimo con un fidato cameriere che ben conosce i comportamenti dei clienti, anticipandoli, ed il modo di trattare gli habitués di questi locali.
Il bistrot è quindi un posto dove si vuole essere accolti ma al contempo anche ignorati, in quanto i rapporti con chi li frequenta sono assolutamente facoltativi.
Esso è un teatro della vita, in cui si è al tempo stesso attori e spettatori e dove si può stare per ore ad osservare tutto quello che accade nei tavoli vicini o in strada, analizzando storie carpite segretamente o solo intuite. Davanti ai suoi banconi di zinco (il centro di gravità di questi locali, secondo l’autore), alle sue sedie in legno, ai suoi arredi, ai suoi specchi, “vengono offerti frammenti di storie vissute in tempo reale delle quali chiunque può immaginare a suo piacimento quello che è successo prima e quello che succederà dopo”. Lo spazio del bistrot, in questo senso, può dirsi romanzesco.
Il bistrot rappresenta anche un altro tipo di spazio, quello cosiddetto intermedio: la mattina quando ci si reca al bistrot non si è più casa, ma nemmeno ancora altrove; al ritorno non si è ancora a casa, ma nemmeno più altrove. E’ una sorta, quindi, di prolungamento dello spazio domestico o un’anticipazione del ritorno a casa.
Parlando di bistrot nel libro non si può non citare il Commissario Maigret di Simenon che proprio dentro a questi locali, nel mentre beveva un calice di bianco, un liquore o una birra o assaporava l’ottima cucina locale che questi posti esprimono, è sempre riuscito a trarre decisivi spunti sui casi da risolvere, osservando da vicino o più da lontano i comportamenti di personaggi chiave delle sue inchieste, siano essi protagonisti o testimoni. E a noi tutti, amanti e lettori di Maigret, piace immergerci nelle atmosfere in cui agiva il Commissario e dove il bistrot aveva sempre un ruolo cardine, insieme a bettole di passaggio o alberghetti di provincia.
Oggi i bistrot stanno assumendo una naturale evoluzione, virando a volte su ”locali dependance” di quelli dei grandi chef, meno costosi e con un numero inferiore di piatti offerti ma sempre di qualità e innovativi (si parla a tal proposito della cosiddetta “bistronomie” che oggi tanto va di moda in Francia).
A me piace però pensare (e sperare) che i bistrot non si snatureranno troppo e che si possa continuare a mangiare presso di essi soltanto l’autentica cucina francese del territorio. Molti bistrot hanno un’origine regionale e sin dalle loro insegne, per dirla con Augé, “vi è una promessa di ghiotta autenticità, dove il sapore di un vino è associato al profumo di qualche specialità cucinata con tutti i crismi”.
Ed io, come l’autore del libro, non voglio e non vorrò mai rinunciare a una testina di vitello in salsa gribiche, a una fricassea di vitello o ad una splendida salsiccia aux deux pommes preparata classicamente e come Dio comanda.

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