Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

26 aprile 2025

Il CP - LFB

Ho voluto cucinare, perché molto incuriosito, il CP (cioè il chicken pie, ecco risolto il primo acronimo del titolo) dopo aver scritto recentemente della soupe Valery Giscard d’Estaing che si ispirava in parte a questo piatto.

Siccome poi ho adattato a modo mio la ricetta originale del chicken pie, ho chiamato questo piatto CP (Chicken Pie) - LFB (Le Franc Buveur).

Il chicken pie è un opulento piatto che ho subito amato in quanto possiede combinazioni di sapori molto piacevoli e a me gradite e poi perché è rivestito di pasta sfoglia che in genere adoro; inoltre possiede un non so che di regale, con le sue decorazioni che ogni preparatore può a suo modo personalizzare.

Ma veniamo a descrivere questa ricetta che è un po' complessa, ma neanche troppo.

Innanzitutto, ecco di seguito gli ingredienti (per il ripieno e per la pasta esterna): 

Petto di pollo 350 grammi

Olio Evo 3 cucchiai

Funghi champignon 250 grammi

Una Cipolla tritata

Aglio 1 spicchio tritato finemente

Burro 50 grammi

Farina 00 3 cucchiai

Latte 300 ml

Brodo di pollo 200 ml

Noce moscata q.b.

Pepe in grani q.b.

Sale q.b.

Prezzemolo q.b.

Un uovo intero

Pasta sfoglia 2 dischi (va bene anche quella surgelata)


Ecco invece il procedimento:

In un tegame scaldare l'olio e far rosolare i petti di pollo tagliati a pezzetti. Aggiungere i funghi e continuare la cottura fino a che il pollo non sia ben dorato. Mettere il preparato da parte.

Nella stessa padella inserire cipolla e aglio e far cuocere per 2/3 minuti finché non si saranno ammorbiditi. Togliere dal fuoco e mettere a riposare insieme a pollo e funghi.

Sciogliere il burro in una casseruola, incorporare la farina e cuocere per circa tre minuti, mescolando continuamente fino a che non si sia formata una pasta spessa e liscia.

In una brocca mischiare latte e brodo di pollo, aggiungere noce moscata, pepe e sale. Versare la miscela liquida, lentamente, nel roux precedentemente realizzato mescolando per evitare che si formino grumi ottenendo una crema liscia. Cuocere a fuoco lento, mescolando continuamente, fino a che la salsa non si sia addensata. Una sorta di besciamella quindi, ma preparata anche col brodo di pollo che le conferisce maggior sapore e aroma (buonissima!). Aggiungere il prezzemolo tritato, mescolare e versare il tutto sul composto di pollo e funghi. Amalgamare bene il tutto. Versare, quindi, il mix ottenuto in una ciotola e lasciare raffreddare completamente.

Intanto stendere due dischi di pasta sfoglia (il secondo di diametro meno ampio) su una superficie leggermente infarinata e tirarli fino a che raggiungano lo spessore di circa 2/3 mm.

Rivestire un tegame da forno foderato di carta forno con il disco più grande in modo da coprire il fondo e i bordi.

Premere la pasta con le dita per farla aderire bene anche ai lati dello stampo ed eliminare la parte che deborda (che verrà utilizzata per decorare la superficie del pie), conservando un eccesso di solo 1,5 cm. Bucherellare lievemente il fondo con i rebbi di una forchetta.

Inserire il ripieno distribuendolo bene lungo tutto lo stampo e coprire con il disco più piccolo. Sigillare bene i bordi pizzicandoli con le dita, in modo da creare un decoro a forma di cordoncino lungo tutta la circonferenza della torta.

Bucherellare anche la parte superiore del chicken pie e usare la pasta avanzata per realizzare delle decorazioni (io ho scelto di mettere le iniziali del piatto e del mio blog) sulla sommità della torta.

In una ciotolina sbattere l’uovo con una forchetta e spennellare la superficie del pie. Quindi infornare (in forno preriscaldato) a 180° per circa 30 minuti, o comunque fino a doratura.

Una volta cotto, estrarre il chicken pie dal forno e lasciarlo leggermente intiepidire. Infine sformarlo e servirlo.


Ma questa preparazione è buonissima anche fredda, ve lo assicuro!

Bon appétit.

20 aprile 2025

Una ricetta tipica della Tuscia: i ceciliani canepinesi al sugo bianco

 

I ceciliani canepinesi sono una pasta tipica della Tuscia originaria del borgo di Canepina, in provincia di Viterbo.

La sua particolarità sta nella forma: si tratta di un formato lungo (si presenta come uno gnocco allungato di circa 7/10 cm) e cavo, spesso e irregolare, lavorato a mano con una tecnica tradizionale. La sua lavorazione richiede abilità manuale per ottenere la giusta consistenza ed elasticità.

Il ceciliano affonda le radici nella tradizione contadina di Canepina. Le massaie lo preparavano soltanto con acqua e farina, senza uova, per ottenere una pasta sostanziosa ed economica. La lavorazione avviene arrotolando la sfoglia attorno a un ferretto (in origine era quello utilizzato dalle nonne per fare le calze), un attrezzo usato per modellare la pasta, rendendola cava e perfetta per trattenere i condimenti. In analogia quindi ai metodi utilizzati per altri formati regionali, come i maccheroni al ferretto calabresi.

Il ceciliano si abbina bene con sughi robusti e saporiti, come ad esempio:

• i sughi di carne (cinghiale o maiale), arricchiti con spezie e aromi locali

• i sughi a base di funghi porcini e tartufo nero della Tuscia, per una variante più raffinata

Ma possono essere conditi anche con salsa di pomodoro e aglio per una preparazione più semplice ma comunque gustosa. Per esaltarne il sapore si utilizzano poi pecorino romano grattugiato o formaggi locali.

Questa pasta è ancora oggi protagonista di sagre e feste popolari a Canepina, dove viene preparata seguendo la ricetta tradizionale e servita con i sughi tipici della zona.

In occasione dello show cooking on line organizzato dalla Camera di Commercio di Rieti e Viterbo e dalla sua Azienda Speciale Centro Italia nell’ambito del Progetto Turismo e Cultura abbiamo preparato i 

CECILIANI CANEPINESI AL SUGO BIANCO guidati dallo chef Felice Arletti. 

Ecco gli ingredienti (per 2 persone): 

400 gr di farina; 200 ml di acqua; 50 gr di granella di nocciole; 5 gr di finocchietto. 

PROCEDIMENTO

Per ottenere la pasta fresca, preparare l’impasto lavorando la farina e l’acqua. Avvolgere il panetto in una pellicola e lasciar riposare per mezz’ora.

Ricavare dei serpentelli, ed avvolgerli attorno ad un ferretto da maglia (per chi non ce l’avesse, basta anche uno steccone per spiedini), in modo da ottenere dei maccheroncini cavi, simili alle trofie. Dovrebbero essere lunghi circa 7-10 cm.

Portare a bollore dell’acqua in una pentola, aggiungere del sale e versarci i ceciliani. Far cuocere per circa 6/8 minuti.

Nel frattempo mettere un filo d’olio extravergine in padella a fiamma bassa ed aggiungere la salsiccia precedentemente sminuzzata in un piatto e privata della pelle. Cuocere a fiamma media, smuovendo frequentemente la salsiccia sbriciolata. Quando la pasta è pronta scolarla, versarla direttamente in padella e continuare la cottura per cinque minuti. Prima di impiattarla, aggiungere il finocchietto e le nocciole tagliate grossolanamente.

Un piatto rustico, robusto e davvero gustoso che ha come valore aggiunto a mio avviso proprio queste ultime aggiunte (finocchietto e granella di nocciole) che gli conferiscono profumo e croccantezza.

I ceciliani canepinesi si abbinano bene con un Greco di Vignanello.

Alla prossima e…Buona Pasqua!

12 aprile 2025

Il pancristiano e la Via Francigena, un pieno di storia e di semplice bontà

 

Sono ripresi gli ormai tradizionali show cooking organizzati dalla Camera di Commercio di Rieti e Viterbo e dalla sua Azienda Speciale Centro Italia nell’ambito dell’interessante loro Progetto, denominato Turismo e Cultura.

Nella prima parte del 2025 gli show cooking riguardano e riguarderanno i soli piatti (e prodotti) tipici della Tuscia, mentre in autunno l’attenzione si concentrerà su quelli del reatino.

Gli show cooking attualmente in corso continueranno anche nelle date del 15 aprile e 6 maggio. Seguiteli on line: potrete partecipare attivamente anche voi, procurandovi gli ingredienti che vi comunicherò per tempo. Ci sarà da divertirsi!

Lo scorso martedì, ad esempio, ho preparato insieme ad altri blogger e giornalisti con la conduzione del bravissimo chef Felice Arletti una interessante ricetta, intrisa di storia, il Pane Fritto o Pancristiano Fritto.

Infatti già nei libri di cucina del XVI secolo si potevano trovare indicazioni sul pane fritto, che sono rimaste praticamente invariate fino ad oggi.

Nel Medioevo del resto sul territorio italiano transitavano tanti pellegrini che percorrevano la Via Francigena* e quando quest’ultima toccava la Tuscia viterbese i pellegrini venivano rifocillati con una pietanza chiamata Pancristiano fritto, in quanto pane offerto in nome della carità di Cristo. Ciò rappresentava quindi il valore simbolico e sacro dell’ospitalità dei pellegrini lungo il percorso, che ricevevano il sostentamento necessario per affrontare il cammino.


La ricetta era molto semplice e nasceva dall'esigenza di recupero di quanto si possedeva senza sprecare nulla, utilizzando il pane raffermo da immergere in acqua o latte, da passare nell’uovo e da friggere in grasso animale od olio. Spesso, inoltre, veniva insaporito con erbe aromatiche o miele.

Un alimento povero, quindi, ma nutriente ed energetico e facilmente trasportabile, che veniva offerto anche dai monasteri lungo il cammino.

Il Pancristiano era diffuso oltre che nella Tuscia anche in altre regioni lungo la Via Francigena, come la Toscana e la Liguria. Oggi sopravvive in alcune tradizioni locali con varianti regionali, spesso associate a dolci fritti o a pane dorato (simile al french toast).

Ma veniamo alla ricetta di questa buonissima pietanza:

INGREDIENTI

(per due persone)

4 fette di pane casareccio raffermo (circa 400 gr.); 4 uova; erbe aromatiche varie (rosmarino, salvia, alloro); 300 gr di farina 00; 500 gr di pan grattato; olio extravergine q.b (minimo 250 cl); sale fino q.b.

PROCEDIMENTO

Tagliare le fette di pane. Inserire in una ciotola grande i tuorli delle uova sbattuti. Versare la farina in un piatto piano grande. Porre inoltre il pangrattato in un altro piatto piano grande.

In una padella inserire dell’olio extravergine (della Tuscia) e immergervi le erbe aromatiche, accendere il fuoco al minimo per qualche minuto e quindi far rosolare il pane da entrambe le parti. Spegnere il fuoco.

Intanto immergere il pane prima nella farina, poi nelle uova, e poi ancora nel pan grattato; ripetere la procedura, ma nella seconda tornata passarlo solo nell’uovo e poi nel pangrattato; far riposare un minuto.

Versare altro olio nella padella, togliendo preventivamente le erbe aromatiche, alzare la temperatura e a bollore dell’olio immergere il pane e farlo friggere bene su tutti i lati fino a doratura. Aggiungere sale a piacere. 

Del pancristiano c’è anche una variante dolce: immergere le fette di pane raffermo nel latte, poi nelle uova sbattute (intere questa volta) e friggerle direttamente in padella, senza passarle nel pan grattato. A piacere si può poi aggiungere sopra dello zucchero.

Che vino si può abbinare alla versione salata? Sicuramente un bianco Greco di Vignanello o un Grechetto viterbese.

La versione salata si può accompagnare con stracciatella e cime di rapa o cicoria (entrambe saltate in padella). In tal modo il piatto presenterà note aromatiche, dolci (stracciatella) e amare (cicoria o cime di rapa), con in più un contrasto caldo-freddo e una nota croccante.

Io, non avendo in casa nessuna verdura, ho optato per una versione con fiordilatte, olio della Tuscia e origano del Monte Epomeo (Ischia): buonissima lo stesso!


Concludo qui il mio lungo post di oggi. Allora al prossimo show cooking del 15 aprile, quando cucineremo i fagioli in greppa (vi darò indicazioni sui social su quali ingredienti procurarvi e il link per il collegamento Facebook).


*La Via Francigena (che significa “proveniente dalla Francia” e che indicava la strada percorsa dai pellegrini che arrivavano dai territori franchi) è parte di un fascio di percorsi che dall'Europa occidentale, in particolare dalla Francia, conducevano nel Sud Europa fino a Roma, proseguendo poi verso la Puglia, dove vi erano i porti d'imbarco per la Terrasanta, meta di pellegrini e di crociati. Era una delle principali vie di comunicazione medievali, utilizzata anche da mercanti e sovrani diretti verso la Città Eterna.

Oltre al significato religioso, la Via Francigena ha avuto un ruolo fondamentale nei commerci e negli scambi culturali tra il Nord e il Sud Europa. Oggi è un itinerario turistico e spirituale, riconosciuto dal Consiglio d’Europa come Itinerario Culturale Europeo, attirando pellegrini e viaggiatori da tutto il mondo.

Per chi volesse, come me, percorrere la via Francigena nella terra della Tuscia vi segnalo che quest’ultima viene attraversata seguendo un tratto di grande rilevanza storica e paesaggistica. I principali centri toccati nella provincia di Viterbo sono: 

• Proceno

• Acquapendente (con il suggestivo Santo Sepolcro nella Basilica del Santo Sepolcro)

• San Lorenzo Nuovo

• Bolsena (famosa per il miracolo eucaristico del Corpus Domini)

• Montefiascone (noto per il vino Est! Est! Est!)

• Viterbo (la “Città dei Papi”, con il Palazzo Papale e il quartiere medievale di San Pellegrino)

• Vetralla

• Capranica

• Sutri (con l’anfiteatro romano scavato nel tufo)

• Monterosi

17 marzo 2025

Nordés gin: la “maxia” pura della Galizia

 

Recentemente si è tenuto presso il Centro Multimediale Interattivo dell’Ufficio spagnolo del turismo di Roma un evento che ha avuto come protagonista il Nordés Gin, appartenente al rinomato Grupo Osborne.

Ad aprire l’evento è stato Gonzalo Ceballos, direttore dell’Ufficio Spagnolo del Turismo a Roma, che ha sottolineato l’importanza del legame dei brand con il territorio spagnolo come accade proprio con Nordés Gin e il Grupo Osborne, che appartiene tra l’altro al Foro de Marcas Renombradas, un Consorzio che mette insieme molti brand leader spagnoli.

Sono seguite poi le presentazioni di Mirko Cagnazzo, Brand Development Manager del Grupo Osborne in Italia, e Lourdes Bustamante, direttrice delle Comunicazioni Globali di Nordés, che ci hanno fatto scoprire l’origine di Nordés gin e fornito molte altre interessanti informazioni su questo speciale prodotto.



Nordés gin è infatti un gin premium di origine galiziana che nasce nel 2012 grazie a tre amici che decisero di rivoluzionare il settore del gin creando un prodotto con una formula unica, fresco, aromatico ed equilibrato.

Nordés in effetti sorprende per l'equilibrio dei sapori, frutto delle sue undici erbe botaniche, di cui sei della tradizione galiziana con cinque essenze provenienti da oltreoceano, che sono unite al tocco unico dell’ottima uva Albariño. Grazie alla sua freschezza Nordés può essere consumato in qualsiasi momento della giornata, come l’aperitivo o il dopo cena o in occasioni speciali.

Nordés è commercializzato in una bottiglia molto intrigante, che si ispira alla ceramica di Sargadelos, tipica della Galizia e che ricorda anche i colori della sua bandiera: bianco e azzurro.



Nordés nasce a Vedra, una cittadina vicino a Santiago de Compostela, dove si trova Casa Nordés, un luogo progettato per consentire di scoprire le radici di Nordés e il suo processo di distillazione e macerazione. Un imperdibile appuntamento per i visitatori che qui possono vivere un'esperienza immersiva, sensoriale e formativa.



Durante la presentazione è emerso anche che questo prodotto, presente in 50 Paesi al mondo, detiene una importante quota di mercato nella categoria premium gin e che “l’Italia è un Paese molto importante per il brand, rappresentando infatti il secondo mercato dopo la Spagna”.

Nel 2024 Nordés è cresciuto del 33% rispetto al 2023 nel nostro paese e si prevede di raggiungere quest’anno l’ambizioso obiettivo di un ulteriore aumento di 15 punti percentuali di vendite in volume.

La presentazione si è conclusa con una piacevole degustazione di Nordés gin tonic accompagnato anche da sfiziose conserve di mare (cozze, cannolicchi, sardine), ovviamente "made in Galicia".



 Viva il Nordés gin (che vi invito a provare) e la Galizia!

Per saperne di più: www.nordesgin.com

28 febbraio 2025

Il rustico di Le Levain: un gusto impareggiabile!

Per chi non lo sapesse Le Levain è una caffetteria/pasticceria/panetteria di ispirazione francese situata (anche) nella zona di piazza Fiume a Roma.

La mattina presto è già affollata da tanta gente che apprezza i suoi croissant, i suoi pains au chocolat, i suoi kouign amann e tanti altri buonissimi dolci francesi. Qui si trovano anche degli ottimi éclair, quelli belli lunghi largamente diffusi in Francia, farciti di crema al caffè o al cioccolato.

Non mancano le specialità salate, come le baguette farcite, le mitiche “cropizzette” (ne ho parlato qui) e delle golose quiches, sia Lorraine che vegetariane.

Di Le Levain, al di là di tutte queste ed altre golosità, mi piace l’ambiente e l’atmosfera, a cui concorre anche il tipo di persone che frequentano questo locale. Se vi fermate un attimo a guardarle, anche attraverso le sue vetrine, sembra di osservare instantanee tratte da un bistrot francese con un pubblico, soprattutto femminile, che lentamente sorseggia bevande calde in accompagnamento a qualche gratificante coccola che rende piacevoli determinati momenti della giornata.

Mi reco spesso in questo punto vendita e consumo frequentemente la variegata offerta, soprattutto salata, del locale.

Nell’ambito di questa, adoro in particolare un prodotto, il rustico, composto innanzitutto da una pasta davvero gustosa che mi porta indietro nel tempo, lievemente dolciastra, un po' brunita e dai tagli diagonali in superficie. Il ripieno poi è goloso ed è composto da carne macinata, spinaci (o broccoli) e piselli.

Un prodotto per me eccellente, anche se la mia passione per i rustici in generale mi porta a volte essere un po' troppo di parte.

Ho provato (indegnamente) anche a preparare in casa questo rustico, usando però della semplice pasta sfoglia e attenendomi invece molto più rigorosamente alla ricetta originale per quanto riguarda il ripieno. Un risultato molto buono e gustoso!


Un saluto a tutti e non mancate di fare un salto da Le Levain, soprattutto se non lo conoscete ancora!

25 gennaio 2025

Cassez la croûte, Monsieur le Président!

 

Foto tratta dall’account Instagram https://www.instagram.com/paulbocuse_officiel/

Gironzolando alcuni giorni fa su Instagram, tra vari post interessanti mi ha incuriosito quello dell’account “Paul Bocuse_officiel” che descriveva la storia di un piatto diventato mitico, la zuppa di tartufo nero VGE, dove VGE sta per Valéry Giscard D’Esteing, ex Presidente della Repubblica francese.

La storia di questo piatto è molto interessante, curiosa, e divertente ed ha contribuito alla notorietà del grande chef Paul Bocuse.

Correva l’anno 1975 e Paul Bocuse ricevette dall'Eliseo una lettera su carta intestata che annunciava che il Presidente in persona gli avrebbe conferito la Legion d'Onore. La firma del Presidente Valéry Giscard d'Estaing sembrava testimoniare il carattere ufficiale della lettera. In realtà invece si trattava di uno scherzo, ben architettato da uno dei suoi amici. Il Presidente allora, informato di questo scherzo, volle ricompensare per davvero Bocuse poche settimane dopo.

E proprio in occasione della solenne cerimonia di attribuzione del titolo di ambasciatore della cucina francese e di Cavaliere della Legion d'Onore nacque tale soupe creata da Bocuse.

Tuttavia con grande modestia lo chef non rivendicò la paternità di questo piatto, affermando di non averlo inventato perché “chi può dire di aver creato qualcosa in cucina?

Più che di creazione, in effetti, si dovrebbe parlare d’ispirazione, perché la zuppa risente di influenze alsaziane e dell'Ardèche. Bocuse, infatti, per realizzare questo piatto si ispirò a Paul Haeberlin che in Alsazia dopo una battuta di caccia aveva cucinato una ricetta al tartufo in una piccola casseruola bianca, ricoperta di pasta brisée. Inoltre il piatto discende anche da una zuppa di verdure dei contadini tartufai dell'Ardèche, che usavano mangiarla calda con al suo interno del tartufo, che così poteva liberare tutti i suoi più voluttuosi e inebrianti profumi. Un'idea culinaria ereditata anche dalla tradizione inglese del chicken pie che, combinata con le altre due ispirazioni appena descritte, portarono Paul Bocuse a realizzare questa famosa zuppa.

La zuppa VGE è composta quindi, in sintesi, da un brodo di manzo, una brunoise di verdure, del tartufo nero grattugiato, del foie gras ed è chiusa con una delicata e fragrante pasta sfoglia.

Al Presidente, che definì Bocuse “un homme de tradition et d’invention” e che si chiedeva come fare per gustare al meglio la sua zuppa di tartufo perfettamente sigillata, il grande chef Bocuse rispose fermamente: "Cassez la croûte, Monsieur le Président!" In effetti la zuppa di tartufo nero, una volta aperta rompendo la crosta che cade nella soupe, presenta un profumo inebriante che solletica le narici, soddisfacendo primariamente il senso dell’olfatto che percepisce e sintetizza un mix di tanti ingredienti davvero ben amalgamati tra loro, in una perfetta alchimia.

Da allora questa zuppa è diventata famosa in tutto il mondo ed ha consacrato definitivamente il genio di Bocuse, erigendolo ancor di più tra i grandissimi chef a livello internazionale.

La storia di questa zuppa si può ben apprezzare anche in questo video e c’è da aggiungere che, volendo, si può gustare ancora oggi nel menù invernale del restaurant gastronomique Paul Bocuse a Collonges-au-Mont-d'Or nei pressi di Lione.

Il prezzo del piatto denominato oggi “Soupe aux truffes noires Elysée” è di 120 €, ma ne vale davvero la pena.

In abbinamento viene suggerito uno Champagne Vranken – Blanc de Blancs 1987,la cui effervescenza quasi effimera solletica le papille gustative, esaltando come in un bosco i profumi di funghi e tartufo fresco e facendo riecheggiare al palato la fragranza della pasta sfoglia...”.

Noblesse oblige!

17 gennaio 2025

Un (mini) timballo di maccheroni per iniziare bene il 2025

Questo è per me il primo post dell’anno. Allora vi auguro (e mi auguro) uno splendido e goloso 2025 che possa portare a tutti noi le cose che più desideriamo.

Il post risente inevitabilmente delle appena trascorse feste natalizie e quindi non posso che proporvi uno dei tanti ottimi piatti che ho gustato recentemente durante le vacanze di Natale.

Il maggior tempo a disposizione mi ha consentito di “rispolverare”, sia pur in versione “mignon”, un piatto che non preparavo da una vita: il timballo di maccheroni.

In pratica, per chi non lo sapesse, si tratta di una pasta al forno rivestita di una fragrante pasta sfoglia: un primo davvero opulento e goloso che ben si adatta a un periodo di grasse e illimitate mangiate, come quello appena trascorso e purtroppo, per quest’anno, finito.

Ma come si prepara il timballo di maccheroni?

Beh, si parte dal ragù per condire la pasta (stavolta l’ho preparato molto velocemente, con della carne macinata), poi si predispone l’abbondante ripieno che può essere molto vario e su cui ci si può sbizzarrire in quanto a ingredienti.

Io ho farcito la pasta nel seguente modo: 

-   piselli in scatola saltati in padella con poca pancetta, cipolla e un filo di aceto balsamico di Modena Igp

-  uova sode

-       fiordilatte a cubetti

-       abbondante parmigiano

Precedentemente ho cotto delle penne al dente e le ho condite con il ragù (abbondante).

Quindi ho rivestito di pasta sfoglia un tegame da forno (per questa volta non troppo grande) ed ho inserito un primo strato di penne, sulle quali ho aggiunto il suddetto ripieno ben distribuito e, qua e là, qualche cucchiaiata di ragù.

Ho coperto con le restanti penne condite e chiuso con un altro strato di pasta sfoglia, a sigillare lo “scrigno”.

Ho cotto infine in forno a 180 °C per circa 30 minuti (anche meno, se avete il forno ventilato) e comunque fino a doratura della pasta esterna.

Questo timballo va gustato tiepido, in modo che i sapori si sedimentino e si amalgamino al meglio.

E chest’è. Bon appétit e ancora buon anno!