Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

31 gennaio 2016

Per chi suona la campana


Nell’elegante e affascinante quartiere Coppedè a Roma si è inaugurato da qualche giorno un locale accogliente, conviviale, multifunzionale e dinamico che prende il nome di Bell.


È quindi con questo spirito e con un’offerta ampia e variegata che si presenta questo nuovo format il cui nome rende omaggio alla campana storica, risalente al 1731, esposta in bella vista all’interno del locale.
L’autentico carattere di Bell è riconoscibile nella sua architettura, affidata allo studio romano di Luca Braguglia che ha voluto creare un luogo felice, solare e aperto alle diversità. Per questo il progetto ha attinto a differenti famiglie di materiali, colori, fonti di luce e di suoni. Lo scopo è di avere più ambienti, con diversi gradi di riservatezza, all’interno dello stesso locale. Ad arricchire il tutto, vi sono una serie di elementi caratteristici: il varco a forma di campana posto di fronte all’ingresso, il fumoir, la saletta e il bar.


Da Bell ci si può recare per un buon aperitivo a base di campanelle” (tapas di carne, quinto quarto, pesce o vegetariane) da abbinare a ottimi cocktail e drink. 



Qui infatti un ruolo centrale è giocato dal bancone, cuore pulsante del locale, dove bar ladies professioniste preparano cocktail d’autore, pensati per accompagnare i diversi momenti della giornata.
E ovviamente da Bell si va volentieri anche per cena, con la possibilità di scegliere tra diverse proposte e abbinamenti. I piatti sono preparati dal giovane chef Gabriele Cordaro, formatosi presso prestigiosi chef stellati, che ama spaziare dai classici della cucina romana a piatti dall’anima mediterranea con suggestioni internazionali.


Troviamo così tra gli antipasti una sfiziosa tartare di ricciola con crema di mais, saba e granita di mela verde o un gustoso krapfen di pizza con spuma di mozzarella, pomodori confit e aria di basilico.


Tra i primi non può mancare la carbonara con guanciale di Bassiano e pecorino della Sabina, ma c’è spazio anche per portate sfiziose e davvero ottime come i tagliolini “36” (ben 36 tuorli d’uovo, quindi) con capesante scottate, mantecati alla senape. 


I primi più originali contemplano anche i canederli di piccione, brodo al Porto e topinambur, mentre tra i secondi si può scegliere ad esempio tra un polpo fritto con crema di patate, salsa bagna cauda e prezzemolo croccante e il cervo marinato al cacao, puré affumicato, nocciole, lamponi e demi glace.


Non si può non evidenziare che il cliente può optare anche per una buona pizza, gourmet e cotta nel forno a legna, preparata con lievito madre e materie prime sempre di altissimo livello. Si va dalla Margherita 2.0 con bufala, emulsione di basilico e pomodori confit alla Patanegra con gorgonzola, noci e miele di castagno.


Non manca infine lo spazio per i dessert, golosi e mai banali come il “Dulcis in fungo” (cioccolato in tre consistenze, caffé, frutti rossi e gelato ai porcini) oppure il London, 5 p.m. con mousse di latte, sfere di the, freddo limone e shortbread alla cannella.
E’ da rimarcare infine l’ottimo servizio, per il quale viene utilizzato, sotto la guida dei due responsabili, Giuseppe Palombini ed Emanuela Teotino, il top staff della Limonaia gestione Palombini.

BELL

Via Chiana 80/86 – Roma - Tel.: 06 8551076
Aperto tutti i giorni dalle ore 16.00 alle 24.00

23 gennaio 2016

Papaccelle’s sauce


Sembra incredibile ma in tanti anni credo di non aver mai parlato sul mio blog delle cosiddette papaccelle. Sostanzialmente si tratta di piccoli peperoni schiacciati, poco alti, carnosi e costoluti, normalmente dolci, tipici della Campania.
Le papaccelle, che sono anche un Presidio Slow Food, si trovano frequentemente a Napoli e nel territorio campano in caratteristici negozietti che espongono una mercanzia molto colorata anche grazie a loro (i colori delle papaccelle sono infatti sgargianti, dal verde scuro, al giallo, al rosso) e che vendono anche baccalà, sottoli, sottaceti, olive da tavola, acciughe sotto sale e altre conserve ittiche.
Le papaccelle di varietà dolce sono commercializzate spesso sott’aceto e proprio quelle preparate in tal modo costituiscono uno dei fondamentali componenti dell’insalata di rinforzo, tipico antipasto della sera della vigilia di Natale.
Per chi è napoletano dico cose ben note, ma dovete sapere che per inciso l’insalata di rinforzo è un mitico piatto composto da tanti ingredienti, che nel loro insieme formano davvero una “squadra vincente”. Cavolfiore bollito, olive nere o verdi, uova sode, acciughe, ricotta salata (“rubatissima”, nei piatti di portata, dai miei cugini, che prima che venisse servita a tavola ne sottraevano “illecitamente” più di qualche fetta…), salame napoletano e papaccelle dolci, appunto, che col loro lieve tocco di aceto completano egregiamente questo antipasto.
Le papaccelle si possono trovare in commercio anche piccanti e allora sono tipicamente di colore rosso, piccoline e sempre un pò schiacciate. E si possono anche farcire, come fa qualcuno, con tonno o acciughe ma la cosa mi interessa di meno.
Fin qui parliamo di un uso tradizionale di questa simpatica e colorata materia prima ma l’evoluzione della cucina, che ha illustri e bravissimi intepreti al sud, ha fatto sì che si combinasse in modo veramente interessante e innovativo con altri ingredienti tipici campani.
Di recente sono stato a Napoli da Ciro Salvo nella sua splendida e rinomata pizzeria a Mergellina (50 Kalò) ed ho trovato nel menù una pizza dall’interessante abbinamento papaccelle-Provolone del Monaco (dolcezza, quindi, ed acidità, che contrasta un po’ di piccantezza).
C’è anche chi (lo fa ad esempio la mitica azienda Gaia nel suo ristorante) le usa come una sorta di ketchup in ricchi e succulenti hamburger (non lo dite a nessuno: le papaccelle si sposano in modo egregio con le carni, soprattutto con quelle di maiale!) riducendole in salsa.
Ed è proprio questa salsa che ho voluto replicare nella mia cucina e ne è venuto fuori un prodotto meraviglioso, profumato, con un tocco di aceto non spiccato.
Ecco come l’ho fatta: ho comprato delle papaccelle dolci sott’aceto (gli amici di Roma avranno però difficoltà a trovarle in città, ve lo dico subito) di colore giallo e verde. Le ho tagliate a listarelle e fatte un po’ appassire in una padella dove avevo fatto precedentemente imbiondire uno spicchio d’aglio a pezzetti in olio extravergine.
Ho anche aggiunto poca acqua e un nonnulla di zucchero, per ottenere una preparazione lievissimamente agrodolce.
Dopo circa un quarto d’ora, ho spento e trasferito tutto nel bicchiere del frullatore ad immersione. Qualche colpo di frullatore, un po’ di extravergine a filo e…voilà, avrete pronta questa fantastica e profumata salsa sui cui usi vi potete sbizzarrire (a me piace mangiarla anche così, da sola, magari su un crostino o in abbinamento a formaggi molto stagionati).


Questa volta invece l’ho usata insieme a delle polpette in umido su cui ho grattugiato a scaglie, prima di servirle, del buon Pecorino Romano: una vera bontà!
Bene, credo di avervi dato un quadro esaustivo di questo fantastico prodotto. E poi dovevo riassaggiarle dopo tanto tempo e scriverne, perché ormai avevo nostalgia del profumo intenso, fresco, pulito ed erbaceo delle mie amate “papaccelle” ;)

14 gennaio 2016

La pizza? Si, ma di fiordilatte


Durante le vacanze di Natale di solito mi piace rispolverare qualche bel libro di cucina napoletana, avendo senz’altro più calma di preparare in santa pace piatti della tradizione della mia terra.
E’ evidente che in pubblicazioni di tale genere si trovano tanti classicissimi, ma ogni anno riesco sempre a scovare qualcosa di meno noto e sempre molto buono.
E’ una tradizione che mi piace seguire anche con i libri di cucina siciliana, che insieme a quella campana non possono che evocare la cucina di casa e quella che si fa in famiglia. E Natale non è proprio la festa della cucina di casa e della famiglia?
Orbene, anche quest’anno nelle (purtroppo) appena passate feste natalizie, questo rito è piacevolmente continuato e la mia attenzione è caduta in modo particolare sulla pagina 101 del libro di Jeanne Càrola Francesconi “La cucina napoletana”, dove era descritta la ricetta della pizza di fiordilatte.
Una ricetta che in qualche modo rientra in un tipo di cucina che a me piace molto, che è quella del recupero e degli avanzi. Per fare questa gustosissima “pizza”, infatti, si utilizza del pane raffermo che in pratica gioca il ruolo della pasta per pizza.
Siccome sono un po’ pigro, la ricetta ve la fornisco così, senza indicare precisamente la quantità esatta e le dosi precise degli ingredienti. Ma non vi preoccupate: vi verrà sicuramente bene, seguendo le istruzioni che vado ad esporvi.
Prendete una bella teglia da forno o, se volete prepararne una quantità inferiore, va bene anche un tegamino che possa andare in forno.
Imburrare bene il fondo del tegame che utilizzerete e porre delle fette di pane raffermo (alte più o meno un cm) sullo stesso fondo, in modo da coprire tutta la superficie (inserite anche dei “ritagli”, per non lasciare nessuno spazio vuoto).
Mettere sopra al pane delle fette di fiordilatte, abbondante parmigiano e delle foglioline di basilico spezzettate (in questo periodo non ci sono, ma che possiamo fare? Magari sostituitele con altre erbe aromatiche, quelle che più vi aggradano, forse della maggiorana?).
Cospargere ancora la superficie con delle uova sbattute (un paio se la pizza è più grande, uno se decidete di farne una versione più contenuta) versando a filo il liquido. Infornare alla temperatura massima (220 gradi) per circa 20 minuti o fino a quando non si crea una bella crosticina dorata.


Un grande piatto, molto piacevole, in quanto il pane raffermo si ammorbidisce grazie al latte rilasciato dalla mozzarella e che si insaporisce divinamente con gli ingredienti più sapidi (il formaggio) e profumati (basilico o altra erba aromatica).
Mi viene in mente che una variante ottima di questa ricetta potrebbe essere quella di utilizzare del Pecorino Romano al posto del parmigiano e della menta al posto del basilico…
Io ora l’input ve l’ho dato. Provate questa stupenda pizza e fatemi sapere che ne pensate. E viva la cucina napoletana (e già che ci siamo, anche la squadra del Napoli che, almeno al momento che scrivo, è prima in classifica! ;))

6 gennaio 2016

Buon Vento!


E’ iniziato il 2016 e quindi non posso che augurare a me stesso e ai miei affezionati lettori Buon Vento, per dirla col linguaggio dei veri uomini di mare.
Un vento che mi auguro possa spingermi e spingervi a raggiungere in questo anno appena cominciato i più cercati e voluti desideri e obiettivi, in tutti i campi.
E visto che parliamo di vento, vi allego una foto di un’opera di street art che mi piace molto e che proprio ad un vento, il Ponentino, deve il suo titolo.


L’opera è dell’autore portoghese Pantonio (potete vederla a Roma in Via di Tor Marancia) e raffigura le balene e i diversi pesci del mare delle Azzorre (Pantonio viene dall’isola di Terceira).
A differenza di quanto si rappresenta, questo “quadro” a cielo aperto prende il nome di Ponentino perché per completarlo l’autore è dovuto stare per giorni sospeso a 14 metri d’altezza ondeggiando in balìa del ponentino, tipico vento romano.
Auguri!

Ps presto vi parlerò in uno specifico post della Street Art di Tor Marancia. Sono opere bellissime, se vi capita andate a vederle!