Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

30 ottobre 2015

C&C: carrube e castagne a braccetto


Ogni volta che vado fuori o sono in viaggio riporto sempre a casa qualche prodotto enogastronomico e in certe occasioni non manca nemmeno qualche souvenir propriamente detto, anche se evito accuratamente quelli troppo turistici.
I souvenir enogastronomici, in particolare, aiutano a ricordare i bei momenti trascorsi in vacanza e i sapori e profumi che si sono percepiti in loco, magari davanti a uno splendido panorama o a una baia mozzafiato.
Poi accade che il consumo di questi prodotti portati casa avvenga quasi subito, oppure, come mi è capitato questa volta, dopo parecchio tempo.
In questo caso avevo a disposizione due prodotti eccezionali e li ho voluti utilizzare in una splendida, unica ricetta.
Il primo era rappresentato da delle castagne di Montella già cotte e pronte da mangiare dell’azienda Perrotta che ho preso in Irpinia durante il mio splendido blog-tour tenutosi in primavera in questa meravigliosa terra.
L’altro è un grande prodotto che ho scoperto da poco, comprato in occasione del mio viaggio a Siracusa e Ortigia della scorsa estate: lo sciroppo di carrube.
Questi due ingredienti potevano star bene insieme a della carne dalla lunga cottura, fino ad ottenere una salsa ridotta e piena di sapore, dai colori dell’autunno. Un piatto quindi ben coerente e conforme a questo periodo e ideale per questo clima.
Ho pensato perciò di preparare una “tasca” di vitella ripiena di castagne ed altri ingredienti e cotta (anche) nello sciroppo di carrube.
Ho acquistato quindi dal macellaio una carne di vitello arrotolabile e da richiudere con una rete elastica tipo-arrosto che ho riempito appunto di 100 grammi di castagne, alcune fette di speck e una quantità non eccessiva di dadini di emmenthal.
Ho rosolato nella mia cataplana ancora aperta questo arrosto (sul fondo ho messo dell’olio extravergine e della cipolla precedentemente imbiondita), sfumandolo con del vino rosso.
Ho aggiunto poi “un nonnulla” di aceto balsamico e una buona dose di sciroppo di carrube dei Monti Iblei. Dopo aver inserito anche un po’ d’acqua, ho chiuso la cataplana (in alternativa potete utilizzare la pentola a pressione o una normale pentola) e fatto cuocere per un’oretta o poco più, finché la salsa non si è ridotta sensibilmente e la carne è diventata tenera.
Ho tagliato poi a fette la carne dopo che si era raffreddata e l’ho servita guarnendola con la deliziosa salsina che si era formata, in cui erano finite qua e là anche delle castagne sminuzzate.


Ne è venuto fuori, come pensavo, un grandissimo piatto, da servire con vini rossi importanti, magari del Sud, perché proprio da lì provenivano i miei due “ingredienti-souvenir”. Che ne dite di un gran Taurasi o di un buon Etna Rosso?

22 ottobre 2015

In punta di… Tre Forchette


La scorsa settimana è stata presentata a Roma la 26esima edizione della Guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, uno strumento sempre più aggiornato e versatile, a misura di appassionato e intenditore.
La Guida contiene ben 2.268 indirizzi fra ristoranti, trattorie, wine-bar, birrerie e locali etnici, per consentire a qualunque tipo di portafoglio di trovare il posto giusto per mangiare “di qualità”, soddisfacendo ogni genere di preferenza (cucina tradizionale, innovativa o esotica).


Il massimo riconoscimento qualitativo appartiene, in questa Guida, come sempre alle Tre Forchette, un ristretto gruppo di locali che quest’anno conta ben 26 esercizi commerciali.
Tra questi, si confermano l’Osteria Francescana di Modena e La Pergola del Cavalieri di Roma, mentre i due nuovi ingressi, Berton e Seta del Mandarin Oriental, appartengono entrambi ad una città, Milano, che quest’anno ha convogliato una straordinaria concentrazione di energie sull'onda lunga del fenomeno Expo.
Da rilevare che Gennaro Esposito, della Torre del Saracino di Vico Equense (NA), con un punteggio di 57 sale tra i quattro migliori voti di cucina assegnati dalla Guida, accanto a Massimo Bottura dell'Osteria Francescana di Modena, Massimiliano Alajmo de Le Calandre di Rubano (PD) e Pino Cuttaia de La Madia di Licata (AG). In crescita anche Mauro Uliassi, dell’omonimo locale di Senigallia (AN).
Oltre agli altri consueti riconoscimenti (Tre Gamberi, Tre bottiglie, Tre mappamondi, Tre boccali, ecc.) la Guida offre quest’anno delle interessanti novità che confermano la sua vocazione di “servizio” affidabile e facile da consultare, con grande sensibilità alle più recenti tendenze di consumo fuori casa. Ecco quindi categorie inedite, come i bistrot, le griglierie e i locali vegetariani, per aumentare sempre di più la sua esaustività ed ecco nuovi premi speciali, per evidenziare le realtà più virtuose e valorizzare ogni aspetto della complessa “macchina” che è il ristorante.
Tra questi riconoscimenti speciali, ne segnalo due che ho particolarmente a cuore: per il miglior pane in tavola è stato premiato il Reale di Castel di Sangro (AQ), per l'attenzione impiegata nella fattura di un alimento basilare e spesso sottovalutato; per la migliore proposta di piatti di pasta è stato invece meritatissimamente premiato Peppe Guida della Antica Osteria Nonna Rosa a Vico Equense, uno chef che adoro.


La cena che ha concluso la giornata di presentazione della Guida è stata veramente all’altezza delle (elevate) aspettative.
Tra i piatti che ho più gradito, metto senz’altro ai primissimi posti il riso in cagnone con crema di erbe, barbabietola marinata al Campari e polvere di lampone di Antonio Guida del Seta Mandarin Oriental Milano, con un piacevole contrasto tra le caratteristiche del lampone e quelle delle erbe.


Un altro Guida, Peppe, ha presentato uno dei suoi tanti favolosi cavalli di battaglia, gli spaghettini all’acqua di limone, olio e Provolone del Monaco, un delicato e cremoso piatto che con successo avevo preparato anche a casa.


Molto interessante e sfizioso l’Hot dog di gambero con maionese di chips di Moreno Cedroni, mentre tra i secondi ho particolarmente apprezzato il piatto di Heinz Beck (sfoglia di manzo su amaranto, con caviale Calvisius ed erbe) che mi ha fatto comprendere quanto si abbini bene il caviale con la carne cruda.



Altro piatto di carne molto interessante era la tartare di cervo con crema di pistacchio (altro abbinamento davvero azzeccato!), miele al wasabi, limone e puccia dell’emergente Matteo Metullio (La Siriola dell’hotel Ciasa Salares).


Buonissima, infine, tra i dolci, la rivisitazione della pastiera napoletana di Ilario Vinciguerra: in un sol boccone si gustava “l’Oro di Napoli” con tutti i suoi sapori autentici e l’esplosione dei suoi profumi.


Tutti questi piatti sono stati degnamente accompagnati da ottimi vini ed etichette di gran pregio, tra cui non si possono non menzionare le ottime bollicine Trento Doc, ideali per l’aperitivo pre-cena, e gli Amaroni della Valpolicella 2007 Cav. G. B. Bertani e Vign. di Ravazzol 011 Ca' La Bionda, premiati con i Tre Bicchieri.

Info: ufficio.stampa@gamberorosso.it

Ristoranti d'Italia 2016 del Gambero Rosso
Gambero Rosso®
in edicola e in libreria
pp  640 -  euro 22

14 ottobre 2015

Le vere, maestosissime Fettuccine all’Alfredo


Parliamo oggi di un mitico piatto, che è entrato nella storia della ristorazione capitolina e che è ormai da tempo affermato in tutto il mondo.
Come si intuisce dal titolo di questo post, mi riferisco alle fettuccine all’Alfredo che solo di recente ho assaggiato per la prima volta (ebbene sì!) nel posto dove bisognava assaggiarle e cioè nel ristorante “Il Vero Alfredo” a Piazza Augusto Imperatore, in pieno centro a Roma.
Si tratta di un ottimo piatto, di cui è interessante soprattutto conoscere la storia, oltre che apprezzarne la bontà e le sue caratteristiche.
Dovete sapere che Alfredo Di Lelio cominciò a lavorare sin da ragazzo in una piccola trattoria aperta da sua madre in una piazza vicina all’attuale Galleria Sordi. E all’età di circa 25 anni inventò questo piatto a base di burro e parmigiano all’esclusivo scopo di fornire un “ricostituente naturale” alla moglie Ines, provata in seguito al parto del suo primogenito.
Queste fettuccine ebbero innanzitutto un grande successo a livello familiare, ma presto divennero il piatto che, inserito nel menù del locale, rese noto e popolare il suo inventore.


Alfredo Di Lelio trasferì successivamente il suo locale in via della Scrofa, per poi aprire, insieme al figlio, il ristorante che tuttora esiste in Piazza Augusto Imperatore. Ed è proprio qui che Alfredo ottenne un grande successo di pubblico e di clienti famosi negli anni della “Dolce Vita”, testimoniato dalle tante foto di vip che sono affisse alle pareti del locale. Un successo che richiama ancora oggi un flusso ininterrotto di turisti da ogni parte del mondo.


Le fettuccine all’Alfredo vengono chiamate anche “al doppio burro”, perché si mantecano una prima volta con acqua di cottura e una dose generosa di burro in modo che si formi una bella cremina. E poi una seconda volta, sullo stesso tavolo dove vengono servite, con ancora tanto burro e parmigiano e, se necessario (aggiungo io), altra (poca) acqua di cottura.


Queste fettuccine sono famose anche per un altro motivo e cioè per il fatto di esser servite con le “posate d’oro”. Queste ultime furono donate ai proprietari del locale, più o meno negli anni ’30, da una famosa coppia del cinema americano in viaggio di nozze a Roma, Mary Pickford e Douglas Fairbanks, in segno di gratitudine per l’ospitalità e la bontà del piatto. Da quel momento i clienti più prestigiosi del locale gustano questo piatto proprio con delle posate d’oro.


E così la leggenda di queste fettuccine fu “esportata” in America. Per farvi capire quanto questo piatto sia conosciuto negli USA basti dire che oggi qualcuno considera addirittura le fettuccine all’Alfredo come uno dei piatti tipici della cucina americana!!!
Finisce qui il mio racconto sulla storia di questo piatto, che da qualcuno è stato considerato e definito di “archeologia gastronomica”.
Non potevo non prepararlo anche a casa e devo dire che questo super calorico primo è davvero molto buono nella sua semplicità e fa inevitabilmente tornare col pensiero alle atmosfere della Dolce Vita. 


Ma anche agli ambienti delle trattorie romane del dopoguerra, abitualmente frequentate dai cosiddetti “commendatori al doppio burro”…

7 ottobre 2015

La parmigiana di melanzane senza cottura in forno


Probabilmente non ho mai parlato della parmigiana di melanzane sul mio blog. Sarà perché si cerca sempre di pubblicare ricette con una certa dose di originalità o perché è talmente normale prepararla n-mila volte a casa che sembra essere un piatto noto praticamente a tutti. Certamente la parmigiana lo è, ma le ricette che si utilizzano per farla sono tutt’altro che poche, con tante varianti sul tema.
La parmigiana di melanzane è e resterà sempre uno dei miei piatti preferiti (come la materia prima melanzana che adoro), in particolare quella che prepara mia madre, che è davvero insuperabile.
Questa volta, però, posterò qualcosa di leggermente diverso rispetto alla parmigiana classica, ma che comunque rimane nei confini della tradizione campana e del Sud.
Vi parlerò infatti della parmigiana di melanzane senza cottura in forno, una parmigiana preparata quindi in modo classico, ma senza essere insaporita e cotta in forno.
Innanzitutto si prepara una salsa di pomodoro fresco e si friggono le melanzane (adesso stanno finendo sia i pomodori freschi sia le melanzane, ma è una ricetta che ho eseguito in estate e che voglio comunque condividere con voi!). Piccolo inciso: la salsa di pomodoro la preparo soffriggendo in olio extravergine della cipolla tagliata sottile, con aggiunta di pomodori San Marzano tagliati a pezzettoni, sale grosso e basilico (altro prodotto che ora sta per finire). Faccio bollire e insaporire e poi passo tutto al passaverdure. Rimetto di nuovo sul fuoco la salsa (liscia) e faccio cuocere brevemente.
Si “monta” poi la parmigiana alternando strati di salsa calda alle melanzane fritte ponendo sopra di esse, prima di aggiungere nuovo sugo di pomodoro, basilico, provola e abbondantissimo parmigiano.
Si fanno tanti strati di questo tipo fino ad esaurimento degli ingredienti e poi “on the top” ancora tanto abbondantissimo parmigiano (uno dei segreti della ricetta). Si mette poi “a riposo” la parmigiana per almeno mezza giornata e si gusta quindi in tutta la sua bontà. Le melanzane si amalgameranno comunque con gli altri ingredienti anche senza la cottura in forno (in qualche modo il sugo caldo cuoce tutti gli altri ingredienti).
Se fate in tempo, preparatela anche in questi giorni, prima che sia troppo tardi. Altrimenti ricordatevi di farla quando è stagione. Non ve ne pentirete!