Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

31 gennaio 2009

Ancora fari…

Era da un po’ che non postavo qualcosa sui fari…una certa nostalgia allora mi è venuta…
Quello che vedete è un faro che si trova alla punta Saint Mathieu, in Bretagna, non lontano da un bel paesino sul mare chiamato Le Conquet, a sua volta non lontano da Brest, sulla costa occidentale di questa bella regione della Francia.
La prima volta che sono stato in questo posto ho fatto delle bellissime foto, anche con la giusta increspatura del mare che dava al tutto un fascino particolare. Purtroppo però poi mi hanno rubato la macchinetta digitale e ho perso quelle foto. Un vero peccato.
Alcuni anni dopo, però, sono tornato “sul luogo del delitto” ed ho rifatto le foto sia al faro sia alla bellissima costa limitrofa, in uno dei tanti begli angoli della Bretagna. Non erano le stesse di prima, però va bene lo stesso.
Il faro di Saint Mathieu risale al 1835, ed è localizzato nei pressi delle rovine di un’abbazia dove pare furono depositate nel passato le reliquie di San Matteo.

Ma già a partire dal 1692 furono poste illuminazioni di vario tipo, anche sulla torre dell’Abbazia, per consentire la più agevole navigazione delle navi.
Nel 1835, per sostituire le luci poste sulla vecchia torre dell’abbazia, fu costruito il faro. In quell’epoca furono costruiti anche degli alloggi per i guardiani del faro. Nel 1931 la luce del faro diventò elettrica, cosa che migliorò di molto la visibilità. Nel 1963 il faro fu dipinto in bianco e rosso e fu posta su di esso la relativa scritta "Saint-Mathieu".

26 gennaio 2009

C’è chi lo conosce e …chinò

immagine tratta dal sito www.comune.savona.it
Forse non tutti sanno che (o molti non sanno che?) il chinotto non è solo una bevanda gassata commercializzata un pò ovunque e parente di altre bevande non alcoliche più famose. Il chinotto è invece innanzitutto un agrume, dal quale si dovrebbe ricavare la bevanda di cui sopra (dubito però che in essa ci sia una percentuale abbastanza importante di questo agrume…).
Ma ciò di cui voglio parlare oggi non è della bevanda, che pur è molto gradevole e senza dubbio da me preferita alla Coca-cola o alle aranciate. Voglio invece dirvi qualcosa della pianta del chinotto e dei suoi utilizzi in pasticceria.
Il chinotto è un agrume di grandezza simile ad un mandarino e di colore verde o giallo/arancio quando è più maturo. E’ una pianta originaria della Cina ma verso il 1500 un navigatore savonese la portò sulla costa ligure dove trovò un ambiente molto congeniale e tale da migliorare nel tempo la qualità dei suoi frutti.
In Italia la pianta del chinotto non è comunque molto diffusa (e nemmeno all’estero), ma quella che è presente in natura ha delle caratteristiche molto particolari. Il frutto non si mangia perché è troppo amaro, ma la sua buccia è molto aromatica e profumata e può essere utilizzata dall’industria dolciaria soprattutto per essere candita. Il chinotto si può infatti consumare esclusivamente candito oppure sotto sciroppo o liquore, come il Maraschino.
Molti stabilimenti per la canditura del chinotto sorsero in Liguria nella provincia di Savona verso la fine dell’800, dopo che tale arte si era sviluppata originariamente in Francia circa un secolo prima.
Dopo un successo iniziale di questa lavorazione cominciò il declino, quando difficoltà climatiche (gelate invernali) e soprattutto il rendimento economico poco remunerativo portarono quasi alla sua estinzione.
Il chinotto di Savona (presidio Slow Food, tra l’altro) si produce nella zona costiera della provincia di Savona, tra Varazze e Pietra Ligure, ad una altitudine massima di 300 metri.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale sul chinotto, ho provato proprio ieri un’ottima marmellata di chinotto di Savona, un po’ amara ma molto molto aromatica.
L’ho mangiata con dell’ottimo Gorgonzola piccante, ma si abbina benissimo anche con altri formaggi piccanti (penso ad esempio al Fiore sardo) o comunque molto stagionati...

18 gennaio 2009

17 gennaio, Sant’Antonio Abate

Ieri, 17 gennaio è stata la festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali e patrono degli allevatori. Il santo è infatti quasi sempre raffigurato con a fianco un maialino. Per questo nella religiosità popolare il maiale cominciò ad essere associato a S.Antonio Abate, considerato il santo patrono di questa specie e, per estensione, di tutti gli animali domestici e della stalla. E’ anche patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perchè guariva da quel fuoco metaforico che era l'herpes zoster, nota appunto come “fuoco di S.Antonio” o “fuoco sacro”. Per millenni e tuttora si usa inoltre in molti paesi accendere nella ricorrenza i “falò di Sant'Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice.
Per l’occasione della festa di Sant’Antonio Abate l’AIA, Associazione Italiana Allevatori, ha “messo in campo” una folta rappresentanza di allevatori e loro animali in Piazza San Pietro a Roma.
Come ha sottolineato la stessa AIA nel comunicato di presentazione dell’evento, “questa festa è sempre stata un appuntamento molto sentito dagli allevatori. Una tradizione antica che si tramanda da secoli e che ancora oggi è oggetto di una profonda devozione nelle nostre campagne, testimoniata anche dalle immaginette votive esposte nelle stalle.
Un giorno speciale quindi per il mondo zootecnico nazionale, per invocare la benedizione e la protezione del santo sugli uomini, i loro animali e i prodotti della terra. E per ricordare a tutti l'impegnativo lavoro svolto dagli allevatori italiani, troppo spesso sottovalutato, per garantire ai cittadini alimenti di prima necessità quali latte, carne, formaggi o salumi”.
In un grande padiglione all’inizio di Via della Conciliazione erano presenti tutti i principali animali: bovini di razza frisona, bruna, Limousine, Jersey, la mitica Chianina,



e poi galline, pecore (razza comisana e sopravvissana), capre, pavoni,

struzzi, asini, cavalli, oche, conigli…

il mio animale preferito, l'asino (nella foto, uno di razza del Monte Amiata)

Con la mia macchinetta digitale mi sono allora precipitato in San Pietro per fare belle foto (alcune potete vederle in questo post), in una splendida giornata di sole.
Lo spettacolo era notevole, visto che non si è abituati a vedere tutti i giorni animali di razze così specifiche.
C’erano anche molte persone che hanno portato in piazza i loro animali domestici per farli benedire (era presente anche un signore con una tartaruga!).


Insomma una splendida e piacevole mattinata con la campagna che, almeno per una volta, è arrivata in città!

12 gennaio 2009

Lode alla focaccia di Recco


La prima volta che ho sentito parlare della focaccia di Recco è stata quando un mio collega che abitava in Liguria faceva le lodi di questo splendido cibo di strada. Poi l’ho assaggiata in varie occasioni nelle mie varie sortite in Liguria e l’ultima volta l’ho mangiata finalmente a Recco.
Tornando dalla mia vacanza in Piemonte, infatti, ci siamo fermati a Recco, passando dalle nebbie del Piemonte al sole, alla luce e al mare della Liguria.
A Recco (tra l’altro fortissimo club di pallanuoto, ma questo importerà a pochi) non potevamo non gustare la mitica focaccia al formaggio. Nel tempo ho assaggiato svariate versioni di focaccia al formaggio, visto che in Liguria si trova ovunque. Tutte buonissime devo dire…ma a Recco… è tutta un’altra cosa…
La particolarità e la specificità della focaccia di Recco è secondo me la sofficità, friabilità e leggerezza della pasta che la rende unica, insieme ad un gustoso ripieno di formaggio stracchino e cagliata ligure.
Questa focaccia, per chi capita a Recco, può essere mangiata innanzitutto allo storico locale “Manuelina”, i cui primi clienti illustri furono dei comandanti di navi, abitanti nelle vicinanze che, apprezzandone la cucina, ne diffusero il nome.
Ma la focaccia di Recco si può degustare anche dove l’ho mangiata io, al ristorante “Ai due ladroni” dove in un batter d’occhio abbiamo “spazzato via” delle spettacolari focacce…

6 gennaio 2009

Le vigne e la neve

Ho passato un piacevole Capodanno nelle Langhe.
Certamente il periodo non era il più adatto per apprezzare al meglio le bellezze della zona. Basti pensare che le numerose enoteche regionali e gli uffici del turismo erano chiusi nel periodo natalizio e riaprivano in alcuni casi alla metà di febbraio! Faceva inoltre molto freddo e avendo nevicato nei giorni precedenti, il paesaggio sembrava più di montagna che collinare.


Ciononostante, ho potuto molto apprezzare le bellezze della zona e gli incantevoli paesini che la punteggiavano. Lo spettacolo poi dei borghi e delle vigne imbiancate era comunque di effetto, soprattutto per uno come me amante del mare, che normalmente non va così tanto spesso a sciare!
Abbiamo quindi visitato tanti piccoli comuni, distanti l’uno dall’altro pochi kilometri, molti dei quali con castelli e torri, spesso risalenti al Medio Evo, e con panorami notevoli.
Due paesini che consiglio per il loro bellissimo panorama sono La Morra (nei cui dintorni si coltivano le più celebri uve per produrre il Barolo) e Barbaresco, un bel borgo che dall’alto guarda il fiume Tanaro, uno degli affluenti del Po.

E veniamo alle notevoli esperienze enogastronomiche fatte in questa zona. Come molti di voi sanno, il territorio della provincia di Cuneo e di Asti è uno scrigno di tesori del gusto. In questo territorio sono “contenuti” nobilissimi prodotti, di alto valore economico oltre che qualitativo: pensiamo all’illustre tuber magnatum pico, il Tartufo Bianco di Alba o ai vini di altissimo pregio come il Barolo e il Barbaresco.
Nei ristoranti della zona la cucina è fortemente legata alle bontà del territorio:
Tra i piatti che ho mangiato sono senz’altro da ricordare (in ordine sparso):

- il flan di cardi con fonduta di formaggi o di robiola di Roccaverano (con scaglie di tartufo bianco grattugiato*)
- agnolotti del plin con salsa di arrosto
- tortino di topinambur con salsa di bagna cauda (piatto veramente memorabile, devo dire!)
- risotto al Barolo
- la varietà e la bontà degli antipasti piemontesi (anche con carne cruda di razza bovina piemontese)

tra i vini Doc-Docg che ho bevuto sono senz’altro da ricordare:

- il Barolo
- il Barbaresco
- il Roero

*Un ultimo cenno alla “perla” di questo territorio, ovvero il tartufo bianco di Alba. Al naso e all’assaggio è davvero inebriante e profumatissimo e quindi vale la pena di essere provato, ma il prezzo a cui è venduto non è forse eccessivo? (nel mio caso, 700 euro all’etto!)